
Lo chiamavano già in vita Federico II «il Grande», temuto dai sudditi e dai monarchi del suo tempo, amato forse da nessuno, eppure la sua persona singolare divenne presto un mito: il re solitario, scontroso, il roi philosophe, il re musicista, il re misantropo, stratega implacabile, statista machiavellico fino al cinismo, primo servitore dello Stato, giusto come Salomone: «ci deve pur essere un re a Berlino!».
Sì, era lui Federico II (1712 - 1786). E la letteratura se ne impadronì, ma non subito, solo quando la monarchia degli Hohenzollern stava tramontando, cominciarono le rivisitazioni del mito. Talvolta si trattava di un riflesso, come quello che traluce in La morte a Venezia, dove si dice che Gustav von Aschenbach doveva la sua elevazione allo stato nobiliare - indicato da quel prezioso von - proprio alla sua apprezzatissima opera letteraria sul Gran Re, che in realtà Thomas Mann avrebbe voluto scrivere e di cui invece ci lasciò soltanto un breve, assai appuntito intervento bellicistico del 1914: Federico e la Grande Coalizione. Un saggio adatto al giorno e all'ora.
Un altro scrittore, Jochen Klepper, esponente di spicco della «Rivoluzione Conservatrice», negli anni Trenta del Novecento dedicò due romanzi alla figura di Federico e del suo severo padre, mentre nel 1924 Bruno Frank (1887 - 1945), un autore che stiamo riscoprendo per il suo «grande stile» quasi manniano, aveva pubblicato nel 1924 una trilogia di racconti, Giornate del re, ora per la prima volta tradotta in italiano da Castelvecchi (pagg. 128, euro 16,50, a cura di Massimo Ferraris), che si confronta con la complessa personalità del sovrano nella sua tarda età, quando tutti i sogni di gloria erano svaniti, tramontati. Viveva irascibile e lunatico, nella residenza Sans-Souci che si era fatto costruire a Potsdam seguendo l'esempio di Versailles. Ormai era disperatamente solo, non c'era più Voltaire a dialogare con lui di filosofia, né il celebre flautista Quantz a sollevare il suo umore. Lontani erano i tempi in cui amava polemizzare in un brillante libello in francese, Sulla letteratura tedesca (Castelvecchi, 2024), contro i giovani scrittori tedeschi tra cui quell'autore di Francoforte che attaccò, senza mai nominarlo: era Goethe. Gli restavano i suoi famosi levrieri italiani. Solo con loro il re si commuoveva e si placava.
In realtà Federico seppe erigere alacremente il suo mito su cui si edificò l'identità della nuova Prussia: Junker e filosofia, militarismo e Kant. Pareva una formula vincente, finché resse l'equilibrio.Ora siamo alla vigilia del riarmo tedesco: tornerà lo spirito illuminista e valoroso di Federico?
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