Il giorno della verità: oggi Gianfry rischia il processo

Il gip decide se rinviare a giudizio il presidente dela Camera per lo scandalo Montecarlo. Un ruolo decisivo potrebbero averlo le carte giunte da Saint Lucia sul ruolo del "cognato" Tulliani

Il giorno della verità: oggi Gianfry rischia il processo

Gian Marco Chiocci - Massimo Malpica

Roma - Difficile dire se l’iperattivismo mediatico dell’indagato Gianfranco Fini corrisponda alla necessità di strizzare ancora l’occhio alla magistratura in vista della pronuncia del gip di Roma. Che stamattina deciderà se archiviarlo, rinviarlo a giudizio per truffa per il pasticcio della casa monegasca oppure disporre un supplemento di indagini. Di sicuro il presidente della Camera, che dal giorno dello scoop del Giornale (28 luglio 2010) in 54 occasioni si è schierato pubblicamente dalla parte delle toghe, ostenta una sicurezza che il 2 febbraio scorso non aveva Giuseppe Consolo, avvocato-deputato Fli, sorpreso dalla decisione del gip Figliolia di approfondire la questione dei carteggi caraibici che individuano nel «cognato» di Fini, Giancarlo Tulliani, il titolare delle offshore che schermano l’acquisto della casa monegasca, ereditata da An e abitata da Tulliani.
E proprio sul groviglio di offshore, dipanato parzialmente dal Giornale e smascherato dalle autorità di Saint Lucia, le parti offese (i rappresentanti della Destra di Storace, Marco Di Andrea e Roberto Buonasorte, difesi dall’avvocato Mara Ebano) puntano per dimostrare che serve un processo per chiarire il ruolo di Fini e del cognato, che la procura di Roma non ha ritenuto di interrogare, limitandosi a indagare il primo per truffa, come il senatore Francesco Pontone. Le indagini difensive partono dalla «nota riservata e confidenziale» che il primo ministro caraibico, Stephenson King, ha inviato al ministro Frattini, chiarendo come per l’indagine interna «Giancarlo Tulliani era il titolare effettivo delle suddette società (Printemps Ltd, Timara Ltd e Jaman Directors Ltd, tutte con sede allo stesso indirizzo in Saint Lucia)».
Le indagini in questione erano emerse il 16 settembre 2010, quando divenne pubblica una lettera tra Stephenson King e il ministro della giustizia Rudolph Francis. Vi si spiegava che le offshore di Saint Lucia coinvolte nel pasticcio monegasco «operavano previe direttive del signor James Walfenzao (…) e del signor Bastian Anthoine Izelaar», ovvero i sottoscrittori del rogito fra An e la società Printemps che acquistò la casa per 300mila euro, e della successiva compravendita tra Printemps e Timara. Queste ultime erano amministrate da un’altra serie di società offshore, tutte «battezzate» a Saint Lucia, nel palazzo di Manoel Street dove ha sede la Corporate Agent (St. Lucia) Ltd, che tra i soci annoverava James Walfenzao (quello al cui indirizzo personale di Monaco Tulliani domicilia le bollette di casa), broker attivo anche nelle Antille olandesi e in Florida.
Izelaar, invece, è titolare della Jason Sam di Monaco, che si occupa appunto di procurare shelf company a facoltosi clienti che vogliano concludere affari immobiliari senza apparire. E i rappresentanti della Destra rimarcano come sia il caso di «interrogarsi sul perché il Tulliani (...) avrebbe dovuto apprestare questo complicato sistema di scatole cinesi per acquistare il quartierino di Montecarlo». «Pertanto - prosegue la memoria - delle due l’una: o Fini e il di lui “nuovo parente” Tulliani, in concorso fra loro, avrebbero apprestato l’artificioso sistema di scatole cinesi onde distrarre il bene del partito, elevando un muro di società offshore per evitare di risalire agli effettivi beneficiari; oppure il Tulliani - ipotesi allo stato non creduta - proponendosi al “cognato” come mediatore della compravendita, in realtà, non sarebbe stato altro che l’effettivo acquirente a buon mercato dell’appartamento di Montecarlo. Di qui la truffa, ove, quanto ai suoi elementi costitutivi: degli artifizi si è detto; il raggirato e dunque, l’indotto in errore sarebbe l’onorevole Fini; il danneggiato sarebbe il partito e il profittatore sarebbe il Tulliani».
E sempre gli appellanti sottolineano il ruolo di Walfenzao, «che ritroviamo due anni prima, in qualche modo, vicinissimo all’entourage di Fini». Il riferimento è all’Atlantis Group, «multinazionale del gioco (...) di cui Walfenzao sarebbe socio e consulente», che come scritto da Panorama (e all’attenzione dei magistrati di Roma e di Tivoli) avrebbe da almeno cinque anni «finanziato società riferibili alla famiglia dell’onorevole Francesco Proietti Cosimi, da 30 anni fedelissimo segretario-portaborse dell’onorevole Fini». Gli esponenti della Destra riassumono: «Due cose sarebbero pressoché certe. La prima: dal 2006 l’Atlantis World di Walfenzao avrebbe inviato centinaia di migliaia di euro a società e associazioni collegabili al segretario particolare di Fini, Francesco Proietti Cosimi. La seconda: nel 2008 Walfenzao ricompare nella compravendita della casa dove va a vivere il “cognato” del presidente della Camera, che poi si è saputo esserne l’effettivo proprietario».
Se i dubbi sull’opportunità di archiviare non bastano, Di Andrea e Buonasorte ricordano l’intervista del costruttore monegasco Luciano Garzelli che, il 27 gennaio, al Tg1 ha dichiarato: «Tulliani mi chiamò da Roma, era inizio luglio (2009, ndr) e mi disse testualmente che Fini con la sua compagna erano stati nell’appartamento il giorno prima e a causa di una perdita d’acqua il parquet della camera si era sollevato e che i signori non sono potuti neppure entrare. (...)».

E quanto ai lavori di ristrutturazione, continua Garzelli, «non era il signor Tulliani, era la signora Tulliani che dava istruzioni». Con email che Garzelli è pronto a mostrare agli inquirenti, se richiesto. Ma Fini, che con Elisabetta convive, non ha detto di non saper nulla dalla cessione in poi?

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