La giusta via per il bipolarismo

Stefania Craxi

È davvero degna di miglior causa l'ostinazione con cui una minoranza di forze politiche e di intellettuali continua a difendere e sostenere la causa del bipolarismo. In Italia non funziona.
Tutti i lodati vantaggi sono contraddetti dai risultati concreti: nessun processo di unificazione nei due poli ma, al contrario, una redditizia frammentazione che fa piovere nelle casse di un partito dell'uno per cento un mucchio di soldi dello Stato e un potere di condizionamento spesso maggiore di quello di una formazione dieci volte più grande.
Una situazione di governo più precaria, per effetto del potere delle minoranze, di quella dei famosi governi quadripartiti o pentapartiti della Prima Repubblica che duravano in media otto o dieci mesi ma non mancavano di capacità legislativa; ed è a quei governi che noi dobbiamo la prima modernizzazione dell'Italia, il mutamento di un Paese prevalentemente agricolo in una moderna potenza industriale.
La verità è che quelle crisi ripetute, enfatizzate dai giornali, erano in realtà crisette, rimpasti, cambi della guardia dovuti all'alternanza dei poteri fra le varie correnti del partito maggiore, la Dc.
I governi non mutavano nella sostanza, l'ancoraggio all’Occidente era saldo, ferma la diga popolare contro il comunismo prosovietico; e quando le vicende hanno prodotto un leader degno di questo nome, le crisi sono scomparse e il governo è durato quattro anni.
A ben riflettere, si dovrà convenire che i guai dell'Italia sono cominciati con l'abbandono del sistema proporzionale e l'adozione del maggioritario in cui Occhetto, allora segretario del Pds, pensava di trovare il moltiplicatore che l'avrebbe portato al governo. Come è noto si sbagliò, perché col maggioritario al governo ci andò Berlusconi.
Il fatto è che un sistema elettorale funziona quando è ben plasmato sull'opinione pubblica. Quando si arzigogola troppo con i sistemi elettorali, pensando di trarne vantaggio, si finisce per sbattere la testa. È capitato da ultimo anche al centrodestra, che ha modificato la legge elettorale per limitare la prevista sconfitta e ha finito invece per regalare alla sinistra una vittoria che sarebbe stata sua.
Il proporzionale ha in sé un senso di giustizia e una tradizione di lotte popolari che affondano le radici nell’Ottocento.
Per il proporzionale, contro i collegi uninominali che davano ogni vantaggio ai «beati possidentes», si è lottato a Ginevra, New York, Londra, Milano dove, nel 1871, Filippo Turati fondò un'associazione proporzionalista alla quale aderirono liberali, radicali, cattolici popolari. Furono proporzionalisti - come ricordò Bettino Craxi in un articolo del 1998 - Filippo Meda e Gaetano Salvemini, Luigi Sturzo, Jemolo, Ruggiero e la grande maggioranza dell'intellettualità del tempo.
Dei difetti della proporzionale parlava Gaetano Salvemini in un articolo apparso sull'Avanti! nel 1945, proponendo il correttivo di un premio di maggioranza. La proporzionale pura, scriveva Salvemini, tende a produrre un sistema clientelistico; proporzionale, quindi, ma non pura.
In effetti, correggere i difetti della legge elettorale proporzionale, cioè evitare il clientelismo, il frazionamento delle forze politiche ed assicurare la stabilità dei governi è tutt'altro che complicato. Lo scrive Craxi nell'articolo citato.
Una legge elettorale dovrebbe assicurare «una effettiva rappresentatività e rappresentanza, una corretta stabilità politica, una efficacia funzionale del sistema democratico. Questi traguardi - dice Craxi - potrebbero essere conquistati con una legge elettorale imperniata su due turni. Il primo dovrebbe svolgersi secondo il principio proporzionale corretto alla base da una quota di sbarramento. Con il secondo turno si dovrebbe poi provvedere alla elezione del premier e della coalizione di governo. Alla coalizione vincente verrebbe assegnato un premio di maggioranza».
Bettino intitolò il suo articolo Un buon sistema. Era buono allora, sarebbe buono anche adesso perché, del bipolarismo, salverebbe l'unica cosa salvabile, cioè la semplificazione.


Nella testa della maggioranza ci sono però tuttora il maggioritario e i collegi uninominali.
I Ds pensano alle loro clientele del triangolo rosso (Umbria, Emilia e Toscana); se pensassero anche alla Sicilia e al Lombardo-Veneto, potrebbero cambiare opinione. Sarà comunque una bella battaglia.

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