Dopo Gomorra il nostro cinema è sull’orlo di una crisi di incassi

RomaC’è in giro un film americano, piuttosto divertente, con Robert De Niro nei panni di un produttore alle prese con star capricciose e registi mitomani. Si chiama Disastro a Hollywood. La satira su quel mondo in Italia non si fa. Ma certo il nostro cinema, sbolliti gli entusiasmi per Gomorra e Il divo, non se la passa troppo bene. C'è chi parla di «Disastro a Cinecittà», in senso simbolico, naturalmente, non fosse altro perché negli studi sulla Tuscolana quasi nessuno gira più film (fa eccezione Verdone col suo Io, loro e Lara). In effetti, c’è poco da stare allegri. «Non abbassare la guardia», avvertiva Riccardo Tozzi, capo dei produttori e produttore egli stesso, sulla prima pagina di Box Office del 15 aprile. Due settimane dopo, in risposta, un'inchiesta che «analizza le recenti performance dei film nazionali» viene intitolata: «Cosa succede al cinema italiano». Succede che, rispetto ai primi mesi del 2008, i nostri film hanno perso un 7,19 per cento, facendo calare la quota di mercato al 29. Gli spettatori diminuiscono appena, ma solo perché il cinema americano nel frattempo s’è ripreso un 6,22 per cento, salendo al 58,9.
Sarà solo un campanello d’allarme o qualcosa di peggio? Dipende dai film in campo, dagli attori che non tirano più, dalle storie sbagliate, o s’è messo in moto un nuovo un processo di disaffezione? Per ora nessuno drammatizza, e tuttavia l’aria che tira è all’insegna di un rassegnato pessimismo. Ecco qualche esempio desunto dai dati Cinetel di lunedì scorso. I mostri oggi, che pure cercava l’affondo popolare attraverso un cast di richiamo, s’è fermato a un milione e 964mila euro. Iago, con la coppia «cool» Vaporidis-Chiatti, ha lambito appena i due. Questione di cuore, benedetto da recensioni entusiastiche, dopo dodici giorni è a poco più di 1 milione e 750mila euro. Generazione 1000 euro, lanciato come film giovanile da multiplex, nel primo week-end ha totalizzato solo 534mila euro. E che dire di Fortapàsc (669mila), Giulia non esce la sera (844mila), Il caso dell’infedele Klara (799mila), Due partite (1 milione e 524mila)? Si difendono Diverso da chi? e Gli amici del bar Margherita, 3 milioni e 170mila l’uno, 2 milioni e 700mila l’altro, lo sperimentale Sbirri ha superato il milione e mezzo, ma insomma: in media, riconoscono i produttori, sono incassi «largamente inferiori alle attese». Anche i film andati bene, come Ex o Italians, avrebbero potuto totalizzare un 25-30 per cento in più.
Ci si chiede se sia colpa delle uscite concentrate in pochi mesi e con troppe copie; del rapido esaurirsi di un filone giovanilistico replicato senza idee e con stanca furbizia; degli attori, pure costosi, scelti con pigrizia nella speranza di raddrizzare copioni periclitanti; del marketing sbagliato, della scarsa cura editoriale, dei gusti che cambiano in fretta. Vai a saperlo. Di sicuro, proprio mentre sta per uscire nelle sale un caustico film americano che si chiama Star System (sottotitolo: «Se non ci sei non esisti»), bisogna riconoscere che i nostri attori, anche i più gettonati o valenti, da soli non garantiscono più il successo automatico. Laura Chiatti s’è fatta spremere come un limone, toppando un film dietro l’altro. Vale in buona misura anche per Carolina Crescentini, Cristiana Capotondi e Valentina Lodovini; coi loro atteggiamenti da divette, gli abbigliamenti improbabili, la dizione così così. Nicolas Vaporidis sembra un ricordo, Silvio Muccino chissà dov’è. Riccardo Scamarcio, Stefano Accorsi e Pierfrancesco Favino si misurano con altre lingue.
Quelli bravi, che siano Silvio Orlando o Sergio Castellitto, Valeria Golino o Margherita Buy, Kim Rossi Stuart o Sergio Rubini, Giovanna Mezzogiorno o Claudia Pandolfi, Elio Germano o Claudio Santamaria, funzionano a seconda dei film: non sempre, dipende se sono ben diretti, se la storia è avvincente, se non rifanno sempre se stessi col pilota automatico. Gli alti e bassi di Abatantuono insegnano.
La parola, sul tema, a Tozzi: «Gli attori contano oggi come due anni fa, hanno importanza all'interno di un registro complessivo. La gente non paga il biglietto se tu piazzi il divo X nel film sbagliato, strano, eccentrico, dall'incerta identità. Vale anche a Hollywood: chi è andato a vedere Julia Roberts in Duplicity? Quattro gatti». Al lavoro sul nuovo film di Daniele Luchetti, La vita non la ferma nessuno con Elio Germano, Raoul Bova, Luca Zingaretti e Isabella Ragonese, il produttore ammette: «Gli attori devono imparare ad amministrarsi bene, senza sparire e senza fare troppo. Ma il problema vero è un altro».

Quale? «Il pubblico maturo, più lento nelle scelte, ha smesso di frequentare le sale cittadine, sostituito da quello più giovane e veloce, abituato esclusivamente ai multiplex. Solo che il nostro è un cinema dell’umano, meno frenetico, che si rivolge preferibilmente agli adulti». Bel guaio.

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