Francesca Scapinelli
Ci ha pensato un decano della letteratura mondiale, a chiudere il Festival Letterature: è Gore Vidal, classe 1925, che ieri sera ha incontrato il pubblico di Massenzio. Un appuntamento insperato, quello con il saggista e romanziere statunitense (il programma iniziale prevedeva il premio Nobel José Saramago, altro scrittore di statura deccezione, poi impossibilitato a partecipare).
La prolificità letteraria e storiografica di Vidal, cui si devono sette volumi di storia dellimpero americano e innumerevoli romanzi e saggi, è emersa nel 46 con Williwaw, una riflessione sullesperienza di guerra, e arriva al Giudizio di Paride, appena edito da Fazi. Un brano del romanzo, ambientato tra Roma, lEgitto e Parigi nel secondo dopoguerra, è stato letto dallattore Massimo Popolizio, accompagnato dal sax Pietro Toniolo e dal chitarrista Giancarlo Bianchetti. Come gli altri ospiti della rassegna, Gore ha proposto un testo inedito. «Ne leggo due - ha specificato -, sono passi di Memoires (lAutobiografia di Vidal, ndr). Uno, per essere ecumenico, riguarda cinema e letteratura, e in particolare ricorda Federico Fellini. Laltro riguarda i rapporti tra arte e realtà».
Vidal conosceva bene il regista della Dolce vita, con il quale ha perfino recitato (nel film Roma) e del cui Casanova ha scritto la versione inglese («Fellini prometteva che lo avrebbe girato in presa diretta, ma poi niente!»).
LItalia che fa da sfondo al nuovo libro è definita dallo scrittore «un Paese distrutto dalla guerra, sgradevole e dimenticato». Quasi dimentico a sua volta degli studi, scientifici o romanzati, che numerosi autori, italiani e no, hanno prodotto sullItalia allindomani del 1945, Vidal ha citato come precedente un unico testo, Gallery di John H. Burns «che, attraverso il museo archeologico di Napoli, traccia un quadro di comera il Paese».
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