La strada che per anni ha ossessionato gli appassionati di cronaca nera va da un'abitazione di Brembate di Sopra, nel bergamasco, a un grande centro sportivo; è lì che Yara Gambirasio, tredici anni, si allena un paio di volte la settimana.
La strada si rivelerà un crinale scivoloso attorno al quale si apre un mondo che ristabilisce la contrapposizione fra casa e foresta: sentieri che terminano con un cancello sbarrato, fossi profondi nascosti dalla vegetazione, veicoli che sfrecciano. Se si allarga il campo visivo di qualche chilometro, e quello temporale di alcune settimane, entrano in gioco discoteche celebri per le risse che vi scoppiano, nonché omicidi passati in giudicato che lasciano tutti indifferenti. Quando Yara scompare, insomma, lo fa in un contesto allarmante; quel che la vicenda della giovane atleta vi aggiunge, e che Giuseppe Genna sottolinea in Yara (Bompiani, pagg. 411, euro 20), è la rivelazione di una condizione dell'umanità apertamente postumana. Gli operatori telefonici, per esempio, comunicano alla polizia gli spostamenti dei telefonini delle persone coinvolte schiacciando i loro movimenti su un reticolato di celle al quale non corrisponde nessun naturalismo euclideo dello spazio; quando la zona viene setacciata al millimetro, ci si serve di cani ribattezzati molecolari; quando, dopo tre interminabili mesi, un aeroplanino giocattolo precipita a pochi metri dai resti della ragazza, consentendone il ritrovamento, la scoperta sul corpo di Yara di residui di DNA condurrà allo screening genetico di mezza provincia.
Presente come narratore interno nelle vesti di un giornalista, l'autore non concede nulla al patetico e anche la pietà fatica a passare attraverso l'imbuto del lugubre, ilare, provocatorio gotico di Genna. Quel che si perde in empatia, si guadagna però in analisi: non è un caso che Genna chiuda rapidamente il capitolo processuale.
L'obiettivo, in effetti, è un altro: adombrare che il mandante dell'omicidio di Yara sia lo spirito del tempo, beninteso malato, che distende le ali su un universo costituito da isole di normalità sempre più piccole ed esotiche, ormai quasi sommerse dall'oceano di una ingovernabile postmodernità.
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