Con il ddl Bindi-Pollastrini, anche l’Unione si trasforma in un’Unione di fatto. Dopo mesi passati a litigare, a cantarsene di tutti i colori in prima pagina e a cercare di ricucire nel retrobottega, dopo che i Di Pietro e i dissidenti con il mal di pancia si sono chiesti: «Ma ci conviene questo teatrino?», dopo che l’ipotesi matrimoniale del Partito democratico s’è persa nelle citazioni di Ecce bombo: «Se c’è un motivo, allora non vedo perché, se non c’è, allora non vedo perché no». Dopo che Piero Fassino a Radio anch'io, all’ascoltatore che chiede: «Ma questa legge sulle unioni civili non la potevate fare tra un anno per evitare altri problemi alla maggioranza?» risponde: e chi te lo dice che tra un anno litighiamo di meno? Insomma, dopo tutte queste cose l’unica strada per la maggioranza era siglare non un blando Dico ma un bel Pacs di governo, un Patto conveniente di sopravvivenza.
Il Pacs di governo si pone a metà strada tra il partito-single, che ad aprile ha superato la soglia di sbarramento ma da solo non riuscirebbe ad andare avanti, e la famiglia politico-ideologica, quella che - secondo il politologo tedesco Klaus Von Beyme - nasce per adesione a una specifica «comunità di valori e norme». La famiglia è in crisi, si sa, accontentiamoci del Pacs politico: «Il Vaticano protesterà, ma che ci possiamo fare», hanno sospirato i teodem, «ma non è un matrimonio di serie b». Prodi, che è un cattolico adulto, ha commentato: «Nessuna retromarcia». Mastella, al solito: «No al Pacs ma sì al governo», rivendicando il diritto di tubare con qualche centrista in crisi coniugale. La sinistra radicale: «Finalmente un freno alle prepotenze machiste di Rutelli».
I contenuti del testo non sono stati resi ancora noti, se ne parlerà nelle prossime settimane in un seminario sotto i gazebo di Gardaland, ovviamente dopo la manifestazione di Vicenza, ma dalle indiscrezioni trapelate nelle ultime ore sarà più rivoluzionario del ddl sulle unioni civili. Anzitutto, visto che la coalizione di governo non è a due ma è un’ammucchiata, si prevede la possibilità della convivenza poligamica. Il titolo provvisorio è: «Diritti e doveri dei partiti temporaneamente conviventi». Si rivolge a tutti i «partiti maggiorenni, anche dello stesso nome», clausola introdotta per non creare litigi tra Rifondazione comunista e Comunisti italiani, «non uniti da vincoli affettivi ma da ragioni di interesse». Qui non c’è sesso e non c’è amore, c’è che se Paola Binetti e Alfonso Pecoraro Scanio non convivono sotto lo stesso tetto, il tetto crolla e tutti a casa. Conviene sopravvivere, siglate il Pacs, ingoiate compromessi al ribasso e transessualità ideologiche, studiate cinismo.
Rispetto alle unioni civili vengono ribaltati i criteri di tempo e durata: lì ci vogliono dai tre ai nove anni per aggiudicarsi dei diritti, qui l’obiettivo è durare cinque anni senza sfasciarsi le stoviglie in testa o indugiare in altri incidenti domestici a Palazzo Chigi, o perlomeno due e mezzo, così i parlamentari si prendono il diritto alla pensione (che non è quella di reversibilità, ma chi se ne frega). In caso di scomparsa di un partito, i contraenti possono spartirsene le spoglie. In caso di problemi economici, possono intervenire i ministri con portafoglio. In caso di atti osceni consumati nei vertici o in Consiglio dei ministri, ci pensano i lenzuoli di Bersani a coprire i fattacci. In caso di abbandono del leader, ci pensa Massimo D’Alema.
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