Dai sussidi al superbonus: la manovra "degrillinizzata"

La stretta sui provvedimenti di bandiera dei 5 Stelle è un segno chiaro di discontinuità del nuovo esecutivo

Dai sussidi al superbonus: la manovra "degrillinizzata"

Trenta miliardi, che sarà mai. Che poi detti così sembrano pure una bella cifra, ma siccome più di 21, sulla scia degli interventi di Mario Draghi, sono già destinati all'energia e al caro bollette, ecco che a Giorgia non resta che qualche briciola per accontentare i partiti e avviare la «degrillizzazione» dell'Italia, attesa da quasi cinque anni. Però insomma lei ci prova e annuncia: «Nel Consiglio dei ministri di lunedì saranno prese importanti iniziative del governo».


Soldi in cassa pochi, come ha spiegato venerdì la premier ai rappresentanti della coalizione di centrodestra convocati a Palazzo Chigi: «Faremo le cose che si possono fare», per il resto si attendono momenti migliori. Il giorno dopo su Facebook si mostra però più ottimista. «Ieri ho riunito le forze di maggioranza e i ministri competenti per discutere i provvedimenti da inserire della legge di bilancio. Siamo al lavoro su una Finanziaria attenta a famiglie ed imprese, con particolare riguardo ai redditi bassi». Da qui la scelta di puntare quasi tutto il tesoretto disponibile su misure di emergenza «per fronteggiare il caro bollette e sostenere milioni di italiani in un periodo difficile e delicato, queste sono le nostre priorità».


E il cuneo fiscale, che fine ha fatto il taglio? Imprese e costruttori stanno già protestando. L'intervento, ammette Giancarlo Giorgetti, «non è finanziato per il 2023», tuttavia «la volontà del governo è non solo di rifinanziarlo e quindi rinnovarlo per il prossimo anno ma anche di aumentarlo per i redditi più bassi dei lavoratori». La riduzione del due per cento, varata da Draghi, scadrà tra un mese e mezzo. Per prolungarla servirebbero 3,5 miliardi. Per estenderla a tutti i dipendenti, come chiede Confindustria, ce ne vogliono sedici.
E torniamo alla casella di partenza, il forziere semivuoto. Qualcosa però Palazzo Chigi spera di rastrellarlo con la modifica del reddito di cittadinanza, spremendo così un paio di miliardi, quanto occorre per portare il cuneo fiscale al tre per cento. Un intervento concreto, se si troveranno le risorse, e di forte simbologia politica: si confermano o si estendono le misure liberali dell'esecutivo precedente e si comincia a smantellare l'assistenzialismo tanto caro ai Cinque Stelle.


Basta con il reddito a chiunque, questa la linea. Sei mesi e poi stop per chi è in grado di lavorare. «É un sistema immorale». Da giugno il governo aiuterà soltanto chi è davvero in difficoltà. Il pugno di ferro però non piace a tutti. «Non si può cancellare adesso uno strumento che contrasta la povertà - sostiene il presidente della Calabria Roberto Occhiuto, Forza Italia - serve più tempo e magari strumenti per incrociare domanda e offerta». La premier intende comunque «dare il segno di discontinuità» su una questione «etica», escludendo dai sussidi 660mila persone, con un risparmio di 1,8/2 miliardi. E l'altra stretta sui superbonus è una seconda spallata al grillismo e alle sue bandiere.


Per il resto si procede lungo i binari stretti dell'emergenza economica.

Senza rinunciare a qualche spruzzatina identitaria - «non abbandoniamo le nostre battaglie» - la principale preoccupazione della Meloni è quella di portare a casa una manovra «seria e credibile», rassicurante nei confronti dell'Europa e dei mercati. Giorgia che gode ancora della protezione istituzionale del Colle, non vuole passare per quella che «ha scassato i conti pubblici».

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