Favoreggiamento nel reato di tortura. È questa l’ultimo capi d’accusa che qualcuno vorrebbe pendesse sulla testa del premier Giorgia Meloni e dei ministri della Giustizia Carlo Nordio e dell’Interno Matteo Piantedosi. La denuncia è firmata da Lam Magok, vittima e testimone delle torture del comandante della polizia giudiziaria libica Osama Almasri, secondo cui la scarcerazione del criminale di guerra e la sua contestuale espulsione gli avrebbero tolto la possibilità di avere giustizia delle atrocità subite.
«Sono stato vittima e testimone di queste atrocità, orrori che ho già raccontato alla Corte penale internazionale ma il governo italiano mi ha reso vittima una seconda volta», sostiene Magok assieme al suo legale Francesco Romeo, che hanno presentato denuncia alla Procura di Roma. Prigioniero per tre mesi nel carcere di al Jadida e sei a quello Mitiga, di cui Almasri era il comandante, Magok ha raccontato torture e sevizie subite «da chi attraversa l’inferno libico per cercare protezione in Europa e che in quell’inferno ci torna quando il barcone è intercettato dai libici».
«Il silenzio del ministro Nordio - commenta ancora Lam Magok - è stato chiaramente funzionale alla liberazione di Almasri», il suo rimpatrio lampo in Libia su un Falcon di Stato un ulteriore attentato ai suoi diritti. Nel nuovo fascicolo aperto dopo l’esposto contro Meloni, Nordio e Piantedosi ci sarebbe la prova che il governo sapeva: «Il 22 gennaio 2025 la Corte penale internazionale, che aveva chiesto di fermare Almasri, ha diffuso un comunicato che dimostra che le autorità italiane erano state non solo opportunamente informate dell’operatività del mandato di arresto, ma anche coinvolte in una precedente attività di consultazione preventiva e coordinamento volta proprio a garantire l’adeguata ricezione della richiesta della Corte e la sua attuazione», dice Romeo, secondo cui quella nota dimostrerebbe che «le autorità italiane hanno chiesto espressamente alla Corte penale internazionale di non commentare pubblicamente l’arresto di Almasri, dimostrando, quindi, di esserne a conoscenza»
Tra le responsabilità ipotizzate che anche «il silenzio prolungato e l’inerzia del Guardasigilli» nel chiedere la custodia cautelare, ignorando gli obblighi previsti dallo Statuto della Corte penale internazionale, che con l’espulsione decisa da Piantedosi avrebbe consentito ad Almasri di sottrarsi all’arresto e di ritornare impunemente nel suo Paese di origine», decisione condivisa con Palazzo Chigi e rivendicata dalla stessa Meloni, sottolinea il legale.
Perché espellerlo, si chiede Romeo? Da dove deriverebbe il pericolo per la sicurezza dello Stato? Questioni cui deve rispondere il premier e che esulano dai compiti della magistratura, verrebbe da dire. Ma c’è anche chi rincara la dose: «Sono convinto che chiunque sia in Italia e ha accusato il comandante libico di averlo torturato può fare ricorso alla Corte Edu contro l’Italia per violazione procedurale dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo», aveva detto nei giorni scorsi il filosofo dei diritti Emilio Santoro, docente dell’Università di Firenze.
Peccato che nessuno se la prenda né con il Procuratore generale di Roma né con i giudici della Corte d’Appello che hanno liberato il criminale. Potevano fare diversamente? Ne è convinto l’ex magistrato della Cpi Cuno Tarfusser, secondo cui a sbagliare sarebbe stata l’autorità giudiziaria.
Un ragionamento che il Giornale ha sostenuto dal primo momento: nel dispositivo la Corte scrive che l’arresto doveva essere preceduto da una «prodromica e irrinunciabile interlocuzione tra ministro della Giustizia e Procura generale» e che la Digos di Torino non avrebbe rispettato [ … ]la legge 237 del 2012 in materia di applicazione di una misura cautelare, dichiarando il «non luogo a provvedere sull’arresto», ma l’arresto eseguito dalla polizia
giudiziaria di iniziativa è stato eseguito nelle forme e nelle ipotesi previste dalla legge. O è legittimo o «illegittimo», mai «irrituale». Ma purtroppo della responsabilità dei magistrati non c’è traccia nella denuncia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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