Il pianto della casta dei rettori

La reazione dei rettori di fronte alle nuove tabelle ministeriali sui fondi di finanziamento ordinario

Il pianto della casta dei rettori
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Il tratto più caratterizzante una classe dirigente degna di questo nome è il suo saper agire in modo responsabile. Lascia quindi perplessi la reazione di molti rettori che, di fronte alle nuove tabelle ministeriali riguardanti i fondi di finanziamento ordinario (la principale fonte di sostegno delle università pubbliche), gridano allo scandalo. Sembra che chi è stato scelto per guidare le università non abbia consapevolezza dello stato miserevole dei conti pubblici, né voglia in alcun modo fare la propria parte per offrire un qualche futuro ai suoi stessi studenti.

Per giunta, quelli che i giornali schierati con la Crui (l'associazione dei rettori degli atenei in presenza) chiamano tagli non lo sono affatto. Basti ricordare che nel 2019 lo Stato spese 6,6 miliardi di euro e oggi la cifra è salita a 8 miliardi. È vero che rispetto allo scorso anno una minima riduzione c'è, ma è dell'ordine del 2%. Si tratta di poca cosa, se si pensa alla situazione in cui si trovano quanti non vivono del «posto fisso» statale, ma devono resistere sul mercato nonostante un'imposizione altissima e un sistema regolatorio asfissiante.

Avendo consapevolezza delle difficoltà che devono fronteggiare gli artigiani, gli operai, i commercianti e tutte le altre realtà sociali che non ricevono soldi pubblici, una classe dirigente non prigioniera di logiche corporative eviterebbe di comporterebbe così.

Per giunta, proprio in questi giorni le cronache ci informano che vi sono rettori che hanno perfino quadruplicato quell'indennità che s'aggiunge alla retribuzione da docenti. La serietà è proprio un'altra cosa.

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