«Io al Viminale? Sto bene dove sto... per ora». Il giorno dopo la sentenza di assoluzione, per Matteo Salvini è l'occasione di togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Prima di tutto, contro gli intellettuali di sinistra che per anni hanno «scritto» e «detto» sciocchezze. E poi, qualche battuta sul ministero dell'Interno, che non è un obiettivo per il segretario della Lega e attuale ministro delle Infrastrutture, ma che rappresenta il luogo in cui, rispetto al caso Open Arms e non solo, Salvini rivendica di aver agito correttamente. Certo, ricorda, qualcuno in passato aveva suggerito: «Non puoi tornare al Viminale, perché sotto processo sei potenzialmente un criminale». Una narrativa smentita dalla sentenza. Per il futuro, si vedrà. Anche perché quella del ministero dell’Interno è una «macchina» che fa dell’«efficienza» il suo caposaldo.
Quella di ieri è stata una «bella giornata». Altrimenti, con una condanna, avrebbero vinto «gli scafisti» e i loro «loschi traffici». «Un tribunale della Repubblica italiana ha riconosciuto che ho fatto il mio dovere di ministro. Non pretendevo medaglie, ma neppure sei anni di galera». E Conte? Il premier in carica durante il caso Open Arms? Salvini gli dà dello «smemorato». «Di lui mi interessa poco», aggiunge. «Gli faccio gli auguri di Natale». La giornata è positiva anche per i tanti militanti leghisti, che ora hanno una certezza in più: «Le nostre idee non si sono mai poste al di fuori della legge», insiste il vicepremier. Ora potrà concentrarsi sul dibattito interno al suo partito, tra rivendicazioni nordiste e una remuntada elettorale. Non ci sarà però una «prova di forza» con la premier Giorgia Meloni, che è stata tra i primi a chiamarlo dopo l’assoluzione. La «prova di forza», semmai, è nei confronti di quelle «associazioni straniere» finanziate da «persone all’estero» che «vogliono il male dell’Italia». E Salvini fa i nomi, citando il «signor Soros». Le Ong, che due giorni fa avevano «i musi lunghi», sembrano intenzionate a fare appello. Il vicepremier ne è consapevole. Intanto, il processo è già costato «diversi milioni di euro».
Strada dritta, quindi, con gli impegni di governo, come nel caso della separazione delle carriere, che «porterebbe quello che si è visto ieri a essere la normalità in tutta Italia». Il segretario della Lega rimarca la differenza con il centrosinistra: «Non riesco ad augurarmi di vedere Conte, Renzi o Schlein in galera... Neanche se mi sforzo ci riesco». Un fronte aperto è quello sul nuovo Codice della strada, altro tema su cui opposizione e intellighenzia stanno cercando di polemizzare. «A tavola a Capodanno si potrà bere esattamente quello che si poteva bere l’anno scorso, su questo il codice della strada non ha cambiato assolutamente niente», rivendica il ministro. Lo stesso che ieri ha ricevuto numerose congratulazioni per l’esito del processo, anche a livello internazionale. Perfino Elon Musk è intervenuto, il che «mi ha fatto molto piacere», dice Salvini. Il bagno d’affetto è stato evidente: «Ho un migliaio di messaggi a cui non sono riuscito ancora a rispondere». Gli chiedono del presidente eletto degli Stati Uniti d’America. «Non penso», replica il vicepremier, «che Trump abbia il tempo di mandare messaggi al ministro Salvini».
Il ministro del governo Meloni saluta questo sabato pre-natalizio esponendo uno striscione davanti ai giornalisti e ai cittadini radunati in centro a Roma, attorno al gazebo della Lega. «Il fatto non sussiste», si legge.
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