Ultimo esame per Giuli da 30. E i collettivi protestano

Quando sono comparsi gli striscioni il ministro aveva già finito. Il professor Lettieri: "Non posso che fargli i complimenti"

Ultimo esame per Giuli da 30. E i collettivi protestano
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La statua sempre lì, al centro di ogni passo. Dicono che non bisogna sfidarla. È la più banale e vecchia superstizione della città universitaria: chi guarda Minerva negli occhi non si laurea. Chissà se lui trent'anni fa lo ha fatto, per strafottenza, per gioco e per l'ovvia ragione che solo i cretini credono a queste cose. Non sarebbe cambiato nulla. La vita è scelte e alcune si possono rimandare, seguendo qualcosa che ti sembra più urgente. Questa è la mattina per riannodare un po' di fili e fare i conti con ciò che avevi lasciato in sospeso. Minerva comunque non ti può guardare. La statua è coperta per il restauro. Scappa un sorriso. La maledizione forse è finita.

Sono le otto e venti ed è già troppo tardi. Un cronista con la telecamera lo ha ripreso mentre entrava: «Una mezz'oretta fa». Facoltà di Lettere e filosofia della Sapienza, si sale, scala a destra, terzo piano, lì dove c'è il dipartimento di Storia delle religioni, una serie di piccole stanze tutte aperte. L'ultimo esame di Alessandro Giuli, ministro della Cultura, è previsto per le nove. Non c'è nessuno. Sulla porta aperta c'è un foglio scritto a penna, da mani diverse, con i nomi degli studenti che si sono iscritti per l'appello di fine ottobre: Andrea, Giulia, Marco, Dalila, Filippo, Elisabetta, Eleonora. Tutti hanno anche un cognome, quello di Giuli non c'è. Che fine ha fatto? I pochi presenti si sentono spiazzati. Ci vuole poco a capire che è tutto finito. L'esame è cominciato dieci minuti prima delle otto. Il consiglio è arrivato dalle forze dell'ordine. Motivi di sicurezza, meglio non creare casini. Il ministro avrebbe preferito non ricorrere a trucchi temporali, il professore si è adeguato dando ascolto alla rettrice. L'esame è a porte aperte e con testimoni. «C'erano altri due studenti», assicurano.

Il ministro e il professore. Non sono loro a preoccuparsi di ritrovarsi faccia a faccia in questa giornata un po' particolare. Gaetano Lettieri non è un professore qualsiasi, basta sentirlo parlare della teologia dell'infinito, magari aprendo il discorso sulla mistica di Gregorio di Nissa per approdare al «Dialogo della Natura e di un islandese» di Leopardi. Quale è il fine dell'uomo? Morire. La sua terra di confine sono i saggi sulla matrice apocalittica e carismatica del cristianesimo, la storia delle origini e la dialettica senza fine tra eresia e ortodossia. Si parte da lì e si arriva a Peterson, Metz, Derrida, Carl Smith. Non è un caso che il ministro abbia scelto di fare la tesi con lui, ma è affinità umana, non ideologica. È la passione per quelle zone di frontiera dove il troppo umano si confronta con lo spirito. È la curiosità per i punti di svolta, dove potere e metafisica si incrociano.

Sì, durante l'esame si è parlato anche di questo, partendo dal saggio di Lettieri su «L'anti-Babele» e la pretesa degli gnostici di essere dio in Dio, figlio nel Figlio del Padre, parola della Parola dell'Abisso e il resto è nulla.

Come è andata? Lettieri sul libretto scrive trenta. Si chiude così l'esame in Teoria delle dottrine teologiche. «È andato bene dice il professore e non posso che fargli i complimenti. Per me è uno studente come tutti gli altri. L'iscrizione all'esame risale a un anno e mezzo fa, prima che diventasse ministro». Si vedranno a gennaio per la discussione della tesi. Il saggio finale di Giuli è su Costantino. Il cristianesimo trova riparo nell'impero e il sole di Roma si sposta a Est.

Sono le nove passate e finalmente la facoltà si riempie. Il ministro è un'ombra che non si riesce a intercettare. I più in realtà passano distratti. Questo esame vissuto come un'anomalia, un dispetto, a Minerva, lascia una scia invisibile. Pochi capiscono che per lui, Giuli, è solo un modo per fare i conti con il proprio io. La contestazione ci sarà lo stesso, in differita. Gli studenti del collettivo «Cambiare rotta» srotolano i loro striscioni. «Giuli, il fascista, lo bocciamo noi». Non sono poi così tanti, un gruppuscolo, meno dei giornalisti. Ti aspetti che il discorso torni sul ministro senza laurea, come se non ce ne fossero stati altri, anche nello stesso dicastero. La questione invece è sempre la stessa. Le scelte giovanili di Giuli, il passato di «Meridiano zero», il fascismo eterno. Il «diritto» ideologico a vietare che quelli come Giuli possano fare esami. La Sapienza è loro.

Minerva di queste storie ne ha viste passare troppe, chiudendo gli occhi davanti al dualismo del rosso e del nero, il lascito indelebile del vecchio secolo che ha perso il senso ma non la forma, questa lotta apocalittica tra il bene e il male, come se il manicheismo fosse la condanna eterna degli umani, gnostici e ortodossi ancora a dividersi sui propri fantasmi, sempre sul filo dell'apocalisse. Una studentessa legge gli appunti prima dell'esame con Lettieri. Non appartiene a nessuno. Sul foglio scritto in piccolo di lato c'è una frase. Quale è il fine ultimo dell'uomo? Morire.

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