La grande ascesa di Fitto. Italia ai vertici dell'Europa

Si è ritrovato nel posto giusto al momento giusto. E ha costruito il ponte tra von der Leyen e Meloni

La grande ascesa di Fitto. Italia ai vertici dell'Europa
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A volte il successo in politica è determinato da una congiuntura favorevole, o meglio dal ritrovarsi al momento giusto nel posto giusto. Una coincidenza astrale che è anche figlia della capacità di previsione e dell'intuito politico. Raffaele Fitto è arrivato sul tetto d'Europa in questo modo. Il fiuto politico è una qualità che ha maturato nel tempo e con l'esperienza: figlio d'arte; cresciuto in un partito come la Dc in cui la gavetta era seria e dovevi farti crescere gli artigli per importi; animato da una grande voglia di emergere al punto che negli anni Fitto è stato pupillo di Silvio Berlusconi e poi di Giorgia Meloni.

E poi - dote essenziale se vuoi sopravvivere - la capacità di perseverare, di cadere avendo la forza di risorgere: il personaggio nella sua terra ha conosciuto la vittoria e la sconfitta, ha provato sulla sua pelle la giustizia politicizzata, ha rotto comodi sodalizi come quello con Forza Italia per stringerne di nuovi. Il che significa intuire quando le stagioni politiche si chiudono per aprire nuovi capitoli.

È l'essenza del concetto di trovarsi al momento giusto nel posto giusto che non ha nulla a che fare con la cabala. Fitto si ritrova a fianco di Ursula von der Leyen perché ha capito in anticipo dove si sarebbe collocato il nuovo equilibrio, il nuovo baricentro del Continente. Ha scommesso prima di tutti in Italia sull'ipotesi di un partito Conservatore, su una destra diversa da quella populista e sovranista. Su una destra atlantica pronta a collaborare con i conservatori inglesi e i repubblicani americani e di dialogare con i popolari della Ue, per liberarli dall'abbraccio e dal ricatto di una sinistra e di un ecologismo troppo ideologico. Lui e la Meloni hanno offerto alla von der Leyen un'altra strada garantendogli centralità nel Parlamento di Strasburgo di fronte ad emergenze come la difesa europea, la crisi dell'automotive, le politiche per l'immigrazione su cui la sinistra europea è ferma su posizioni fuori dalla realtà.

Ha raccolto, quindi, i frutti di un lungo lavoro. Che prima si è basato sulla fiducia personale, sull'abilità a stringere con la Presidente della Commissione Ue un rapporto leale al di là delle collocazioni politiche basato sul pragmatismo. Avrebbe potuto farlo solo lui, visto che Fitto nasce nel Ppe e con il governo di Bruxelles ha avuto un proficuo rapporto come ministro dell'attuazione del Pnrr in Italia. Così per il personaggio è stato naturale interpretare il ruolo di uomo di collegamento tra il suo passato e il suo presente, di ingegnere politico che ha costruito il ponte tra la von der Leyen e la Meloni.

Il resto è venuto da sé: Fitto era predestinato a diventare vice-presidente esecutivo già da giugno, quando le elezioni hanno rivoluzionato la geografia di Strasburgo. Era il personaggio che garantiva a due popolari dal volto diverso, come la von der Leyen e Manfred Weber, di dotarsi di una politica alternativa o complementare a quella rappresentata dalla maggioranza tradizionale che da anni regge la Ue composta da popolari, sociali e liberali.

Solo la sinistra, europea e italiana, non ha compreso in tempo quale sarebbe stato l'epilogo del processo in corso. Hanno tentato di bloccarlo, di ostacolarlo invano.

Non comprendendo che di fronte ai cambiamenti profondi dello scenario internazionale - dal prolungarsi del conflitto russo-ucraino all'avvento di Donal Trump - l'unica strada praticabile per allargare la base di consenso nel Parlamento di Strasburgo e garantire l'unità dell'unione era dividere le destre europee attraverso un personaggio che ha il pedigree di un popolare-conservatore: appunto, l'uomo giusto nel momento giusto.

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