La grazia inarrivabile di Lorenzo Lotto sotto le ali di un angelo

"La sacra conversazione" di Vienna è una meravigliosa opera "psicologica"

La grazia inarrivabile di Lorenzo Lotto sotto le ali di un angelo

In tutta onestà, cento sculture romane, per loro natura in gran parte riproduzioni di originali greci e vistosamente rabberciate, non hanno la stessa vitalità estetica e la stessa semplice bellezza di un solo dipinto di Lorenzo Lotto. E non si pensi a una mia predilezione, come studioso di arte moderna e non di archeologia, avendo sempre vissuto la prigionia delle sculture della collezione Torlonia come una grave sottrazione, come una ferita, né che il mio riferimento sia un capriccioso accostamento di cose lontane e incomparabili.

Mi riferisco, infatti, a due esposizioni di questi giorni: la selezione, di cui si è molto parlato, di cento statue di marmo della collezione Torlonia (in mostra a Villa Caffarelli a Roma), e il generoso e pertinente prestito della sensibilissima Sacra conversazione con i santi Caterina e Tommaso di Lorenzo Lotto, dal Kunsthistorisches Museum di Vienna alle Gallerie dell'Accademia di Venezia, per il progetto «Un capolavoro per Venezia» sostenuto da Intesa San Paolo. Giusto era partire con un pittore veneziano, e uno dei grandi del Rinascimento, per muoversi con coerenza storica ed espositiva tra le opere del Cinquecento delle Gallerie, non diversamente peraltro dalla esposizione dei marmi Torlonia in uno spazio contiguo a quello delle collezioni archeologiche dei musei Capitolini, in una lodevole continuità. Così pare trovarsi a casa sua il dipinto di Lorenzo Lotto, a fianco di amici e fratelli, con una ulteriore ragione di compiacimento: il dialogo con uno dei dipinti più belli del mondo, capolavoro di Lorenzo Lotto, il Ritratto di giovane malinconico (1530 ca), opera libera, moderna, psicoanalitica, da me sentita affine alla sensibilità leopardiana in una memorabile mostra, pochi anni fa, sulle due anime a confronto, a Recanati. Fu, d'altra parte, Bernard Berenson a capire che, come in una premonizione della psicoanalisi, Lorenzo Lotto è «il primo pittore italiano ad essere sensibile ai mutevoli stati dell'animo umano». In una vertiginosa rappresentazione del genere, nelle sale dell'Accademia, si avvicendano «Sacre conversazioni» dei più grandi maestri veneziani: Giovanni Bellini in primis, Cima da Conegliano, Boccaccio Boccaccino, Sebastiano Del Piombo, Palma il Vecchio, Tiziano, nello stesso giro d'anni, con iconografie analoghe ma sensibilità diversissime. E nessuno, dico nessuno, arriva alla poesia di Lorenzo Lotto. Occorre anche aggiungere che, nei suoi soggetti prevalenti, pittura religiosa e ritratti, spira un'aria simile per originalità di composizione e intensità emotiva. È una condizione pressoché unica, essendo che la rappresentazione devozionale, anche di grande impegno artistico, ha schemi e canoni che rischiano di renderla ripetitiva, e la identità di ogni pittore si innesca su motivi prestabiliti e talvolta ripetitivi. No: come Lotto inventa le attitudini e gli stati psicologici dei suoi ritratti, così reinventa ogni volta, anche con gli stessi protagonisti, le sue sacre rappresentazioni. Le varianti prevalgono sulle repliche, e la qualità autografa, pure altissima, non è il solo elemento di distinzione. Se osserviamo le «Sacre conversazioni», con temi affini sul piano compositivo, della sua compiuta maturità, nel decennio 1525-1535, in cui si inserisce il capolavoro di Lorenzo Lotto (La Sacra famiglia e angeli della Pinacoteca Tosio Martinengo con in due fratelli Gussoni, in veste di aristocratici pastori, lo Sposalizio mistico di Santa Caterina in Palazzo Barberini a Roma, la Sacra famiglia con i santi Gerolamo e Anna degli Uffizi, la Sacra famiglia con la famiglia del Battista del Louvre, la Sacra famiglia con Santa Caterina d'Alessandria dell'Accademia Carrara di Bergamo), avvertiamo una comune sensibilità sentimentale espressa nei gesti affettivi, soprattutto del padre verso il figlio, quando lo svela compiaciuto agli occhi di Santa Caterina che si ritrae con timidezza, rispettando l'espansività della madre. Ma nel dipinto viennese Giuseppe manca, e domina invece l'orgoglio femminile della madre che esibisce il figlio come un trofeo. Le tonalità, prevalentemente chiare, degli azzurri e dei verdi sembrano corrispondere a una delicatezza interiore che trova nell'azzurro lapislazzulo dell'abito della Vergine la sua più alta corrispondenza. C'è l'evidenza del «periodo blu» di Lorenzo Lotto, sotto la fresca penombra della quercia frondosa. Sofisticati gli ornamenti, la collanina d'oro con la croce di Santa Caterina, e il nastro con i fogli ripiegati al collo della Vergine. Ma inarrivabile, in questa ricercata e insieme nativa eleganza, la figura dell'angelo che incorona di fiori la Vergine seria e concentrata, mentre il bambino si agita a sfogliare le pagine del libro di una distratta Santa Caterina. Mai la Santa era stata così lontana dal suo novello sposo divino, come richiamata altrove da una voce interiore, che rende tutti i personaggi alieni, applicati a un rito senza la partecipazione e la convinzione che gli stessi personaggi hanno nella Sacra Famiglia della Accademia Carrara di Bergamo. Lotto si esercita alla ricerca quasi estetizzante di un'arte per l'arte e, nell'assoluta invenzione dell'angelo con le ali striate, apre irrevocabilmente al gusto preraffaellita, imponendosi come una fonte inevitabile di quel movimento. Per Edward Burne-Jones e per Dante Gabriele Rossetti, un'invenzione come questa non è meno determinante del mondo femminile, sacro e profano, di Botticelli. È proprio questa presenza che, alla immobilità psicologica degli altri protagonisti, aggiunge un vento imprevisto, una mobilità insolita nei dipinti affini di Lorenzo Lotto.

L'opera si avvantaggia di un allestimento che l'avvicina e la distanzia dalla concomitante impresa di un pittore vibrante di colore, ma psicologicamente statico, come Bonifacio de' Pitati, una intuizione o una furbizia degli allestitori, sotto la guida di Giulio Manieri Elia (direttore della Galleria dell'Accademia di Venezia) che scrive, con candida malizia: «I dipinti si ricollegano precisamente alla tradizione pittorica rinascimentale veneta e s'inseriscono perfettamente all'interno del contesto museale delle Gallerie, intessendo una trama di dialoghi, rimandi e confronti con le opere della collezione permanente e la città lagunare».

Vero è che, pur senza esserne sopraffatto, nella stessa sala delle Gallerie dell'Accademia, il dipinto del Lotto si misura anche con un meraviglioso, visionario capolavoro di Tintoretto, dove un angelo, meno elegante ma più irruento di quello danzante del Lotto, irrompe in un fascio di luce nel sonno lagunare di San Marco. Un altro capolavoro, distante solo mezzo secolo, ma dall'altra parte del mondo, per invenzione, energia visionaria, forza travolgente. Tintoretto compie una rivoluzione degna di un Caravaggio veneziano, ma corre il rischio dell'«effetto speciale».

Lotto compone un'armonia («Ogni pensiero ed ogni senso un canto») degna di un grande musicista, aprendo la strada al Debussy de L'après-midi d'un faune. Come nessuno, dipinge nel Cinquecento con la sensibilità di un pittore di fine Ottocento; e non perde aura, anzi l'allarga. Le povere statue dei Torlonia sono immobili, in attesa di una grazia che non verrà.

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