Groenlandia: "Da oggi siamo indipendenti"

Dopo 300 anni di dominio danese l'isola dei ghiacci diventa Stato autonomo. Ma l'autosufficienza economica è lontana: il Paese dipende per il 60% da Copenaghen

Groenlandia: "Da oggi 
siamo indipendenti"

Marta Allevato

Da oggi in Groenlandia si parla ufficialmente il kalaalisut, la lingua degli eschimesi inuit. L’isola di ghiacci ieri ha detto addio all’Europa e ha festeggiato il primo giorno di indipendenza dalla Danimarca. O meglio: dell’entrata in vigore dello statuto d’autonomia, approvato nel referendum dello scorso novembre, e primo passo di un lungo cammino che porterà l’immensa isola di ghiacci a diventare uno Stato sovrano in grado di gestire tutte le proprie istituzioni, di utilizzare ogni risorsa e di disporre di un’economia non più dipendente, come ora, dalla madrepatria.

Alle celebrazioni nella capitale Nuuk hanno partecipato anche i reali danesi. Lasciate a casa le corone, la regina Margrethe, il principe consorte Henrik, e i principi Frederik e Mary, si sono congedati dai loro sudditi dopo 300 anni di colonizzazione, indossando i costumi tradizionali degli inuit, il gruppo di maggioranza in Groenlandia. Da ieri i groenlandesi sono riconosciuti come la popolazione di uno Stato indipendente, con una propria lingua e con il diritto alla gestione delle risorse del sottosuolo, ricche soprattutto di petrolio, gas, oro e uranio.

La devolution - che dal 1979 già riguardava istruzione, sanità e assistenza sociale - viene così allargata a forze di polizia e giustizia, oltre al piano di divisione dei ricavi petroliferi che permetterà a Copenaghen di eliminare, gradualmente, i sussidi attualmente esistenti: circa 588 milioni di dollari l’anno. Un risparmio che, insieme a un ampio consenso dell’opinione pubblica, spiega il favore della Danimarca alla riforma. Tanto più che rimarranno ancora “a gestione danese”: la Corte suprema, la valuta, la politica monetaria, estera e quella della sicurezza. Anche se, d’ora in poi, ogni decisione che riguarda la Groenlandia dovrà comunque coinvolgere anche l’autogoverno, lo «hjemmestyre», data la posizione geografica che rende il Paese, un luogo di importanza strategica.

Se a Nuuk il clima è di ottimismo e fiducia, non manca però chi vede nubi all’orizzonte. Coperta per l’80 per cento da ghiacci, con un territorio grande tre volte la Francia, la Groenlandia - l’isola più grande del mondo dopo l’Australia - sarebbe troppo poco popolata (57mila abitanti) per poter funzionare come nazione indipendente. Senza contare i profondi problemi sociali che l’affliggono: disoccupazione, Hiv/Aids, suicidi e alcolismo. Le statistiche indicano che i groenlandesi maggiori di 15 anni bevono in media 11 litri di alcol puro all’anno, il dato più alto di tutti i Paesi nordici. Anche la prospettiva della rinuncia ai sussidi danesi preoccupa: significa, di fatto, tagliare la voce che determina il 60 per cento del Pil dell’isola, dove l’altro 40 per cento è prodotto dall’industria ittica. Per ridurre i sussidi occorrerà che il petrolio emerga a fiumi dal sottosuolo. Molte speranze sono riposte nel riscaldamento globale. Lo scioglimento del sottosuolo, oggi ghiacciato, potrebbe facilitarne l’esplorazione e far diventare la Groenlandia l’isola del tesoro. Finora, però, di giacimenti petroliferi non si è vista traccia. Secondo stime dell'Istituto geologico americano, la zona artica contiene 90 miliardi di barili di petrolio, ma anche grossi giacimenti di gas naturale, circa il 22 per cento delle riserve mondiali.

A gestire la nuova fase sono la sinistra radicale dell’Inuit e alcune personalità politiche nuove scelte nelle elezioni del 2 giugno. «A partire da oggi iniziamo una nuova epoca nella storia del nostro Paese - ha detto ieri il neopremier Kuupik Kleist -. Questa mattina ci siamo svegliati con una nuova speranza nei nostri cuori».

Il primo ministro ha poi spiegato che l’autodeterminazione non è stata ottenuta con lotte e sacrifici «ma col dialogo, la mutua comprensione e il rispetto reciproco fra la Groenlandia e la Danimarca». Peccato che la dipendenza economica da Copenaghen sarà dura a morire.

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