All’inizio della guerra in Ucraina, Europa e Stati Uniti si sono posti due obiettivi: sostenere Kiev con ogni mezzo fino alla vittoria e piegare economicamente la Russia, costringendola ad arrendersi. Quest’ultimo traguardo non è stato raggiunto: l’economia della Federazione ha dimostrato di saper reggere il colpo delle sanzioni, le più pesanti mai imposte ad un Paese. Non si può dire certo che Vladimir Putin stia vincendo ma, almeno per il momento, non sta neanche perdendo. Per quanto riguarda, invece, l’invio costante di materiale bellico all’Ucraina, il fronte pro-Kiev che sembrava indissolubile sta iniziando a perdere pezzi.
Il gioco delle armi
Domenica 1 ottobre, i servizi segreti del Regno Unito hanno diffuso alcuni dati trapelati dal ministero delle Finanze di Mosca, secondo i quali la Russia allocherà 10,8 trilioni di rubli alla difesa nel 2024, un aumento del 68% rispetto a quest'anno. Il dato è significativo, perché indica la volontà e, soprattutto, la possibilità per il Cremlino di investire ingenti risorse (6% del Pil) in un conflitto che prosegue da quasi 20 mesi e che ha visto un dispiegamento considerevole di uomini e mezzi, con tutti i costi relativi alla logistica e al rimpiazzo di equipaggiamento perduto.
Gli 007 britannici ipotizzano che questo sia il segnale di una guerra lunga, che potrebbe estendersi addirittura fino al 2025. Secondo altri osservatori, invece, Putin punterebbe a chiudere il conflitto l'anno prossimo, utilizzando questo budget considerevole per potenziare il proprio arsenale e dare il colpo di grazia alla tenace resistenza ucraina.
Le speranze di vittoria di Kiev risiedono nel supporto internazionale, visto che il Paese è privo di un'industria bellica propria. I suoi sostenitori, però, cominciano ad essere stanchi di una guerra che occupa da troppo tempo le prime pagine dei giornali e che, tra piccole avanzate e battaglie sanguinose, sembra essere ad un punto morto. Polonia e Slovacchia hanno sospeso l'invio di equipaggiamento militare, mentre gli Stati Uniti sono bloccati dalle discussioni al Congresso per evitare lo shutdown e, per il momento, non manderanno altri aiuti. Per quanto riguarda gli altri Paesi della Nato, a luglio erano in 11 su 30 ad aver aumentato la propria spesa per la difesa portandola al 2% del Pil. Intanto, gli arsenali si svuotano.
La guerra economica
I Paesi europei non sono autosufficienti, soprattutto dal punto di vista energetico. Nel 2022, la crisi del settore causata dallo scoppio del conflitto ha portato ad un'impennata dei prezzi, i cui effetti sono ancora ben visibili, e ad una ricerca di nuovi canali di approvvigionamento per liberarsi dalla dipendenza dalla Federazione. Il problema è che un tale cambiamento richiede tempo e Putin ha ancora il coltello dalla parte del manico.
Dall'estate del 2023, sono cresciute esponenzialmente le importazioni di gas russo dal Turkstream, il viadotto che passa attraverso la Turchia: 500 milioni di metri cubi alla settimana. Una cifra, questa, ben lontano dai 1700 milioni di inizio 2022, complice anche le restrizioni imposte dalla stessa Gazprom, ma dimostra come l'idea di tagliare completamente i rapporti economici con la Russia, in particolare per quanto riguarda le materie prime, sia irrealizzabile. Il quantitativo di gas liquefatto che l'Europa compra dalla Federazione, infatti, è ritornata ai livelli prebellici.
Vladimir Putin, inoltre, gode della possibilità di poter manipolare il prezzo al barile, grazie alla convergenza con il principe saudita Mohammed bin Salman. I due sono al vertice dei Paesi principali esportatori di greggio a livello mondiale e l'annuncio coordinato del taglio alla produzione fatto a luglio, ed esteso a settembre fino alla fine dell'anno, ha fatto impennare il costo del petrolio (+30% in tre mesi). Il tetto imposto dal G7 si è dimostrato inutile: l'oro nero russo viene venduto a 83 dollari al barile, a fronte di un limite di 60 imposto dai Grandi. Le entrate di Mosca derivate dal greggio sono inferiori rispetto a prima della guerra, ma negli ultimi mesi non hanno fatto altro che salire, complice anche l'aumento delle esportazioni verso Cina, Turchia e India.
Anche il grano è un'arma che la Russia non esita ad usare. Secondo le stime, alla fine del 2023 l'export di derrate alimentari prodotte nella Federazione aumenterà del 36%, la quota più alta al mondo. Contemporaneamente, quelle ucraine sono calate, anche a causa del ritiro di Putin dall'accordo sui cereali e i divieti alla vendita di prodotti del Paese invaso imposti da alcune nazioni dell'Europa orientale, Polonia in testa.
La Russia, quindi, sta diventando il principale punto di riferimento per l'approvvigionamento di cibo per molti Stati emergenti, soprattutto in Africa e Medio Oriente, zone del mondo in cui la presenza e l'influenza dell'Occidente stanno diventando sempre meno rilevanti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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