«Se la guerra in Ucraina finirà? Dipende da Putin. Zelensky mi ha già detto di esser pronto a un accordo, ora è la Russia che deve accettare di terminare questo massacro senza senso». Donald Trump aggiorna le sue posizioni sul tema che ha costituito una delle sue più impegnative promesse elettorali, e lo fa intervenendo in video da Washington al Forum economico di Davos. E aggiunge un elemento importante alle minacce del giorno prima di colpire l'economia russa con «dazi, tasse e sanzioni»: «Chiederò all'Opec di abbassare i prezzi del petrolio, e questo costringerà Putin a fermare immediatamente la guerra». In realtà, una recente analisi di Foreign Policy indica che per ostacolare concretamente in questo modo la macchina bellica russa occorrerebbero mesi. Al di là di questo, nel suo intervento Trump ha insistito sugli aspetti umanitari e quasi sentimentali («tutte queste giovani vite spezzate inutilmente in battaglia, questi palazzi residenziali devastati dai missili»), evitando di ricordare che in questa guerra infame ci sono un aggressore e un aggredito.
Al Cremlino la retorica del «pacificatore» interessa poco: badano ai fatti. Il portavoce Dmitry Peskov ripete la sua formula: «Siamo aperti a un dialogo equo e reciprocamente rispettoso». Il che significa: non ci lasceremo imporre nulla da Trump, le nostre posizioni le conoscete e quelle rimangono. Appare realistico, comunque, che Putin parlerà al telefono col nuovo presidente americano nei prossimi giorni. Intanto, la guerra continuerà, anche se l'economia russa fatica molto più di quanto Putin sia disposto ad ammettere per sostenerne i costi giganteschi. Sulla prospettiva di negoziati di pace con Mosca, ieri Zelensky ha insistito sulla sua strategia comunicativa di schierarsi con Trump: è importante, ha detto il presidente ucraino, che la guerra si concluda «con una vittoria di Trump, non con quella di Putin».
Contemporaneamente, rimane aperta la fondamentale questione del costante e forte sostegno militare occidentale all'Ucraina, senza il quale è inutile girarci attorno non sarebbe possibile alcuna pace perché Putin continuerebbe nella sua aggressione senza fermarsi. Il segretario generale della Nato, l'olandese Mark Rutte, ieri è stato molto chiaro e realista sulla necessità assoluta che i Paesi europei aumentino fortemente le spese per la difesa: «Il problema, e il presidente Trump lo ha ribadito con coerenza, è che in Europa spendiamo troppo poco nella difesa. E che il 2 per cento non si avvicina neanche a quello che sarebbe sufficiente».
A questa nuova realtà, i leader europei si stanno giocoforza adeguando.
Ma è prevedibile un braccio di ferro con Washington sull'entità del loro impegno economico: il 5 per cento dei bilanci nazionali preteso da Trump è chiaramente eccessivo e la partita rientrerà di sicuro in una, più ampia e complessa, che verrà giocata in ambito commerciale, secondo lo stile da businessman del successore di Joe Biden.
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