Forze d'élite o guerra ad alta intensità: il dilemma di Israele per il 2024

Le operazioni su vasta scala a Gaza continuano, ma il governo di Tel Aviv si trova ad affrontare sempre più pressioni interne e internazionali. Nei primi mesi del 2024, però, è improbabile che si assita ad un cambiamento al fronte

Forze d'élite o guerra ad alta intensità: il dilemma di Israele per il 2024
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Mancano ormai pochi giorni alla fine del 2023 e il nuovo anno si aprirà con il conflitto ad alta intensità ancora in corso nella Striscia di Gaza. Dal 7 ottobre in avanti, Israele è rimasto adamantino nel suo proposito: spazzare via Hamas una volta per tutte. Le pressioni internazionali su Tel Aviv stanno però aumentando. Gli Stati Uniti hanno chiesto a Netanyahu di limitare le operazioni offensive a piccoli raid di forze d’élite e l’Onu continua a premere per un aumento degli aiuti umanitari all’exclave e per un cessate il fuoco. Il governo di emergenza dello Stato ebraico, inoltre, deve affrontare anche le continue proteste delle famiglie degli ostaggi ancora prigionieri nella Striscia, che domandano a gran voce un accordo con Hamas.

Una situazione delicata, dunque, che però non sembra aver influenzato i piani di Bibi e dei generali delle Idf. Le truppe della stella di David, infatti, sono ancora impegnate nelle operazioni di terra nei settori nord e sud della Striscia. La leadership del movimento terroristico, inoltre, rimane nel mirino dei servizi segreti. Ogni giorno, sugli account social dell’esercito e del portavoce Daniel Hagari, vi sono aggiornamenti sulla distruzione di tunnel o compound, eliminazione di comandanti o ritrovamento di arsenali e materiali di intelligence.

Nonostante i numerosi successi degli israeliani, però, l’infrastruttura dell’organizzazione palestinese è molto estesa e servirà ancora del tempo per assestarle il colpo di grazia. Vi è quindi la possibilità che la portata delle operazioni rimanga invariata per almeno altri due mesi, come previsto dal governo di Tel Aviv, e che solo dopo si passerà ad una fase più contenuta. Questo, però, dipende molto da Washington. Israele, infatti, sarebbe costretto a rivedere i propri piani nel caso in cui la Casa Bianca dovesse minacciare di abbandonare la sua politica del “supporto incondizionato”, specialmente in sede Onu.

A complicare questo teatro bellico vi è anche la possibilità che il conflitto si allarghi. La minaccia di un intervento degli Hezbollah pare, ad oggi, un fuoco di paglia. I miliziani del Partito di Dio libanese si sono limitati solo a piccole incursioni e attacchi con missili e mortai. Ancora meno probabile è un intervento della Siria di Assad, ancora impegnata a gestire la sua guerra civile. La variabile impazzita sono gli Houthi. I ribelli yemeniti filo-iraniani, infatti, hanno condotto una serie di attacchi contro navi mercantili nel mar Rosso, costringendo molte compagnie a deviare i propri cargo verso il capo di Buona Speranza. Un duro colpo alla rete del commercio internazionale, che ha provocato l’intervento degli Stati Uniti e di una coalizione internazionale.

Per il momento non si è ancora parlato di attacchi diretti contro i miliziani, ma se si dovesse optare per questa soluzione è possibile che Israele si trovi costretto a dedicare risorse anche a questo fronte. Un impegno diretto degli Houthi a Gaza è però impossibile, vista la distanza geografica che separa di due luoghi. Il loro impatto sul conflitto rimarrà, dunque, molto limitato.

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