L’arma del gas usata come ricatto per scoraggiare il supporto militare all’Ucraina sta portando l’Europa a fare a meno di Mosca. E, a quasi un anno dall’inizio del conflitto, la Russia, isolata, ha ormai perso la sua leva economica sul mercato globale. Con la Cina che, da acquirente alternativo per svendere a prezzi stracciati i combustibili russi, potrebbe ripiegare verso alleanze, e mercati, più convenienti. Mentre la propaganda del Cremlino non basta più per far digerire le sconfitte sul campo e gli effetti delle sanzioni sulla vita reale, il malcontento represso rischia di compromettere la tenuta sociale. “Putin ha perso la scommessa e nessun tentativo di contrastare le sanzioni - ci spiega Vladimir Milov, viceministro russo dell’Energia durante la prima presidenza Putin, ora leader insieme ad Aleksej Navalny del principale partito d’opposizione Scelta democratica, ricercatore presso il Martens Centre, think tank ufficiale del Partito popolare europeo - salverà la Russia da un collasso economico senza precedenti. Come dimostra la dissoluzione dell'Unione Sovietica, una volta che il popolo scontento protesta, il cambiamento può avvenire in un attimo. Questo è il motivo per cui i leader occidentali devono solo dare alle sanzioni il tempo di fare effetto”.
A giudicare dai dati però, dalla contrazione modesta del Pil al basso tasso di disoccupazione, al rublo forte, non sembrerebbe che le sanzioni stiano funzionando. Perché, invece, non è così?
"Perché questi indicatori macroeconomici sono fuorvianti, non riflettono la situazione reale. Secondo la proiezione del ministero delle Finanze russo il Pil del paese si contrarrà del 2,7%, il che sembrerebbe sfatare la tesi che l'economia stia affondando sotto i colpi delle sanzioni occidentali. Ma questo dato include l'aumento della produzione militare per sostenere il conflitto in Ucraina. In pratica, un carro armato di nuova produzione, immediatamente inviato al fronte e magari distrutto da un missile Javelin ucraino, viene ancora conteggiato come contributo nominale al Pil russo. A confermare la grave contrazione economica sono le entrate da fonti diverse dalle esportazioni di petrolio e gas, che a ottobre 2022 sono diminuite del 20% su base annua. Le industrie manifatturiere e automobilistiche, dipendenti dalle importazioni di componenti occidentali, con un crollo di due terzi della produzione pagano il prezzo più alto. La disoccupazione ufficialmente è al 3,7%, con solo 2,7 milioni di russi disoccupati. Vista così sarebbe un minimo storico. Ma se conteggiassero anche i quasi cinque milioni di lavoratori russi soggetti a varie forme di disoccupazione nascosta, come il congedo non retribuito, si arriverebbe al 10%: un dato paragonabile ai peggiori livelli degli anni '90. Anche il rublo, è vero, si è rafforzato, ma solo perché le importazioni sono crollate e il governo ha reso praticamente impossibile prelevare denaro e convertirlo in valuta estera."
Anche il ricatto del gas, che Putin voleva usare per piegare l’Europa, ora gli si sta rivolgendo contro.
"L’economia russa dipende strettamente dall’esportazione di gas verso l’Europa. La scommessa di Putin era che i paesi europei non sarebbero riusciti a riempire i serbatoi per assicurarsi le scorte per l’inverno prima che la Russia chiudesse i rubinetti. Una scommessa persa. Bruxelles ha ripiegato su altri fornitori, mentre Gazprom non ha un modello di business in grado di fare a meno del mercato europeo. Costruire un’infrastruttura che convogli il gas prima diretto in Europa verso la Cina o altri paesi asiatici costerebbe centinaia di migliaia di dollari, soldi di cui non c’è nemmeno l’insegna. E una conversione verso l’India è tecnicamente impossibile. Per quanto riguarda il petrolio, le esportazioni verso l’Asia hanno compensato l’embargo europeo, ma a fronte di prezzi stracciati (sui 40 dollari al barile) e di extra costi di spedizione (10 dollari al barile) che azzerano di fatto i profitti. In pratica, Putin ha perso il mercato europeo senza essersi garantito un rimpiazzo per salvare l’economia russa."
Quale sarà l’effetto sul medio-lungo termine?
"Un crollo profondo e senza precedenti dell’economia russa. Tutti i prodotti occidentali che non possono essere importati a causa delle sanzioni verranno sostituiti con dei surrogati russi di minor qualità, tecnologicamente più arretrati ma con prezzi maggiori data la totale assenza di concorrenza. Ciò avrà un impatto generalizzato sulla qualità della vita, con un progressivo deterioramento dei redditi, del tasso di occupazione, del potere d’acquisto, delle possibilità di accesso a beni di consumo, come le auto occidentali, ai quali i russi si erano ormai abituati dagli anni ‘90. E sostituire parte delle importazioni europee con prodotti cinesi si tradurrà in un aumento dei costi della logistica che pagheranno ancora i consumatori. Nell’immediato futuro della Russia non c’è nessuna speranza di miglioramento, ma solo il collasso progressivo dell’economia. Un deterioramento graduale della qualità della vita di cui la popolazione si sta già rendendo conto."
Le sanzioni sono la via per indurre Mosca a trattare?
"Finché la Russia non avrà pagato fino all’ultimo centesimo la ricostruzione post bellica e non si sarà ritirata dai territori ucraini occupati, l’Occidente deve continuare a picchiare duro con le sanzioni. Sono l’unico modo di punire Putin per questa guerra genocida, costringendolo ad ammorbidire la linea. Anche se non penso che dopo si potrà tornare a farci affari come se niente fosse successo."
Lei che lo conosce bene, non crede che senza via d’uscita userebbe le armi nucleari?
"Già altre volte ha minacciato di usarle e non l’ha mai fatto. Di certo, se le usasse non ricaverebbe alcun vantaggio. Ricorrere alle armi nucleari tattiche costringerebbe i paesi che ancora non hanno aderito alle sanzioni, come India e Cina, ad aderirvi. Mentre se usasse le armi nucleari strategiche, la Russia verrebbe rasa al suolo in poche ore. Cosa che significherebbe la fine del regime, e di Putin. Quindi, di sicuro, un’ipotesi poco plausibile."
Perché, se le sanzioni stanno avendo un impatto sulla qualità della vita, i russi stanno ancora con lo zar?
"Putin non gode affatto di un alto consenso tra la popolazione. I sondaggi che lo danno oltre il 70% nascondono una realtà molto più complessa. I media sono vent’anni che non mostrano alcuna alternativa allo zar, per cui è difficile che qualcuno si svegli e decida di sostenere un'altro leader. Molti sondaggi dimostrano che i sentimenti collegati alla situazione attuale non sono certo ottimismo, ma paura, ansia, preoccupazione. In più bisogna considerare che le persone temono per la propria incolumità nell'ammettere apertamente di non approvare l'operato di Putin e la guerra in Ucraina. Ho lavorato per sei anni nel governo a contatto con le élite al potere e posso dire che anche lì il sostegno nei confronti di Putin è bassissimo. Il problema è che che la gente ha paura a parlare."
Quindi non è detto che Putin venga riconfermato alle elezioni del 2024?
"Parlare di elezioni non ha senso in un paese come la Russia, dove è stata eliminata ogni forma di opposizione e domina la censura più totale del dissenso. Ma da qui al 2024 può cambiare tutto. Può succedere che, di fronte alle ripetute umiliazioni sul campo e agli effetti delle sanzioni sull’economia, Putin perda l’appoggio anche dei suoi sostenitori più accaniti. È un’eventualità che non va affatto esclusa."
E cosa ne sarà della Russia dopo Putin?
"La richiesta popolare di un processo di democratizzazione è così forte e i costi di mantenimento di un regime come quello putiniano così alti, che chiunque verrà dopo si troverà costretto ad avviare una liberalizzazione paragonabile a quella avviata da Gorbacev negli anni ‘80. Continuare con la linea dura non sarebbe tollerato e non converrebbe a nessuno."
Si parla di Prigozhin, Kadyrov, Navalny come di possibili nuovi leader…
"Prigozhin e Kadyrov non hanno nessuna chance. Anzi, la loro importanza e il loro ruolo sono gonfiati dai media. Nei sondaggi raccolgono un misero 3% e non godono del consenso né all’interno dei palazzi del potere né ai vertici delle forze militari. Sommando gli uomini dell’uno dell’altro si arriva a malapena a 50 mila, praticamente lo stesso numero delle sole guardie federali del presidente. Nel futuro della Russia Navalny può giocare un grande ruolo ma serve un processo profondo di democratizzazione.
E io sono sicuro che con il crollo progressivo del sistema a causa della guerra, delle sanzioni e dell’indebolimento del potere di Putin, risorgerà quella richiesta di democrazia e quel desiderio di chiudere con il passato imperialista, già visti negli anni ‘80. Un’occasione unica per la Russia che all’Occidente, questa volta, converrà non snobbare."- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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