Da quando Donald Trump è stato eletto ogni giorno arrivano dal Cremlino note positive sull'operato del successore di Joe Biden. Naturalmente sono discorsi fumosi che aleggiano sulla promessa di The Donald in campagna elettorale di far cessare la guerra in 24 ore. Ma già bastano a rendere nervosi gli alleati europei, i vertici della Nato e, soprattutto, Volodymyr Zelensky. Un dato, comunque, già appare chiaro: la nuova amministrazione di Washington non si impegnerà per ridare all'Ucraina i territori perduti; la Crimea e quella parte del Donbas conquistata dalle truppe russe saranno annesse dal Cremlino o diventeranno provincie autonome comunque dipendenti da Mosca.
Una questione su cui c'è poco da trattare viste le forze in campo, quindi, purtroppo probabilmente le speranze ucraine andranno deluse. Basta un minimo di realismo per capire che dopo 700mila morti lasciati sul terreno (i numeri sono del ministero della Difesa inglese) è difficile che Putin possa lasciarsi andare a concessioni territoriali. E, diciamoci la verità, su questo giornale l'ho scritto e riscritto: la possibilità di riprendere i territori perduti per Kiev è svanita da parecchio tempo, da quando la controffensiva ucraina di un anno fa non diede sul campo di battaglia i risultati sperati. Per cui se si vuole uscire dall'imbuto della tragedia della guerra ci vuole una buona dose di pragmatismo.
La questione centrale, però, non sono i nuovi confini che fatalmente fotograferanno gli equilibri attuali ma le garanzie che l'Ucraina dovrà avere per evitare in futuro di ricadere nell'inferno conosciuto in questi due anni e mezzo. È un punto su cui Trump per ora non è stato per nulla chiaro e che invece è centrale: non si può chiedere a Zelensky, dopo due anni e mezzo di guerra e un numero di caduti poco minore di quelli russi, di rinunciare a una parte significativa del territorio ucraino senza dargli un'assicurazione per il futuro.
La via maestra sarebbe quella di mettere l'Ucraina sotto l'ombrello Nato, cioè di includerla tra i Paesi membri in tempi più o meno brevi. O almeno fare in modo che abbia le garanzie di cui godono gli altri Stati membri anche senza entrare formalmente nell'Alleanza. Di sicuro non bastano certo accordi poco chiari e scritti sull'acqua come quelli di Minsk. Una guerra folle e più di un milione di morti pretendono un'intesa forte di cui anche l'Occidente sia garante.
È un argomento su cui le intenzioni del prossimo presidente americano non sono chiare al punto che l'attuale amministrazione ha moltiplicato nel suo scorcio finale di mandato gli aiuti militari a Kiev. E le preoccupazioni sono fondate. Il pragmatismo, quella mezza ideologia denominata «America First», ha spesso portato Trump nel suo primo mandato a prendere decisioni sicuramente imprevedibili, ma non sempre felici. Basta ricordare la fuga - perché di questo si è trattato - degli americani e dell'intero Occidente da Kabul lasciata in mano ai talebani che hanno fatto di quella giovane democrazia e dei barlumi di libertà carne di porco. Va ricordato che se Biden subì l'onta di quella tragica debacle (e l'atteggiamento intransigente sull'Ucraina probabilmente ha risentito di quel dramma) chi fu l'artefice dell'intesa con i fautori dell'emirato islamico fu Trump.
Un'intesa che si portò dietro la sconfitta dell'Occidente e il sacrificio di tutti quelli che gli avevano creduto. La differenza con l'oggi è che l'Afghanistan è lontano 5mila chilometri mentre l'Ucraina è in Europa. Insomma, Kiev non è Kabul.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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