Pochi giorni fa un attacco missilistico russo ha raggiunto Odessa, distruggendo il «castello di Harry Potter», così chiamato per la straordinaria somiglianza con quello descritto da J. K. Rowling nei suoi celebri romanzi. Dunque la guerra uccide anche questa roccaforte dell'immaginazione e ciò che ne rimane è un cumulo di tristezza incarnata: fumate nere avvinghiate come pitoni intorno alle macerie, pareti ridotte a scheletri, fiamme fameliche che avanzano centimetro dopo centimetro.
Prima di assistere a questa scena credevo che la fantasia, la mia come quella degli altri, fosse un luogo sicuro per non dire granitico, molto più che inviolabile, assolutamente sacro. Credevo che niente e nessuno avrebbe mai potuto scalfirla, mai avrebbe potuto insinuarsi in un immaginario personale o collettivo che sia e scagliarglisi contro col fine di distruggerlo. Ma guardando quel castello ardere mi sono ripetutamente, impietosamente chiesta: «allora è davvero finita?; se pure la fantasia finisce che rimane?; se il castello di una favola nota in tutto il mondo va in pezzi per sempre finisce per sempre anche la favola, e con essa di conseguenza le altre favole?». «Certo che no»: mi sono detta, ma è una magra consolazione, data l'oscenità della guerra.
Per i sopravvissuti, per chi rimane e più in generale per chi vive, non c'è infatti cosa più preziosa della fantasia (cioè della speranza): vederne frantumata anche una sola, infinitesimale parte, per colpa dell'insensatezza più truce, non fa che restituirci un orrore angosciante, un senso d'agonia che paragonare a una pugnalata sarebbe per me fin troppo riduttivo.Cosa s'impara, quindi? Che la fantasia anche nella guerra si salva, ci salva, ma a caro prezzo. Rinunciando a brani di se stessa. Solo cambiando volto, il suo e il nostro.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.