Il Trump di Gaza pensa evangelico

Dietro la solidarietà a Israele c'è molto di più, c'è una profonda convinzione che la guerra sia un segno divino della fine dei tempi

Il Trump di Gaza pensa evangelico
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Riviera, resort, immobili. Sul piano di Donald Trump per Gaza si è detto e scritto molto. Ma dietro le boutade del tycoon c'è qualcosa di più ancestrale. Qualcosa legato alla fede e alla politica. Il senso di questo rapporto sta in una delle ultime uscite del presidente americano: «Secondo il mio piano i palestinesi non avranno il diritto a tornare a Gaza». Nella testa di Trump lo sgombero della Striscia è propedeutico all'ingresso di Israele. Ma perché sconfessare così anni di politica americana improntata sui due Stati? Perché Trump ascolta anche i richiami del popolo evangelico d'America. Un popolo che oggi conta 62 milioni di fedeli pari a circa il 28% della popolazione americana.

Gli evangelici hanno stretto un legame sempre più forte con il presidente, che poco alla volta è diventato il loro uomo della provvidenza. Un percorso suggellato con l'attentato, scampato, a Butler in Pennsylvania, e con la creazione dell'Ufficio della Fede nella Casa Bianca, una task force alla cui guida è stata messa la televangelista Paula White dell'Independent Network Charismatic Christianity, un movimento evangelico sempre più influente nel Paese. La voce degli evangelici negli ultimi due anni si è fatta sempre più potente perché rinvigorita dall'attacco di Hamas del 7 ottobre, ma soprattutto dalla guerra di Israele a Gaza. Per mesi le varie chiese evangeliche sparse per gli Stati Uniti e migliaia di leader religiosi hanno dato il loro appoggio a Tel Aviv. «In linea con la tradizione cristiana della guerra giusta», recitava un comunicato della Southern Baptist Convention, «affermiamo il diritto di Israele a rispondere contro coloro che hanno avviato gli attacchi, poiché Romani 13 dà ai governi il potere di usare la spada contro coloro che compiono atti malvagi contro vite innocenti».

Ma dietro la solidarietà a Israele c'è molto di più, c'è una profonda convinzione che la guerra sia un segno divino della fine dei tempi. Per il movimento evangelico è fondamentale che tutta la Terra Santa sia abitata da ebrei. Uno dei principi fondanti degli evangelici sostiene che il ritorno degli ebrei nella regione, quindi anche a Gaza e Cisgiordania, sia il segno di una profezia che si compie, cioè l'inizio dei sette anni di Armageddon al termine dei quali ci sarà il ritorno di Gesù Cristo sulla terra. Una convinzione che affonda le radici nelle parole di Mosè nel Deuteronomio che profetizzava il raduno della diaspora ebraica e troverebbe conferma in altri testi sacri della Bibbia come il libro di Libro di Ezechiele, il vangelo di Matteo, gli Atti degli apostoli e ovviamente l'Apocalisse di Giovanni.

«L'orologio ha iniziato a ticchettare», ha detto John Hagee pastore e fondatore dell'organizzazione Christians United for Israel, «viviamo sull'orlo della più grande serie di eventi soprannaturali che il mondo abbia mai visto». Per alcuni gli evangelisti sono il volto oscurantista della religione americana, ma per Trump restano una realtà che non può ignorare, anche su questioni geopolitiche come la guerra in Israele.

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