«Ma Hawthorne chiese a Melville di allungare il suo “Moby Dick”»

È il libro che tutti i bibliofili, bibliofagi, bibliografi, bibliomani dovrebbero leggere. Non tanto gli autori. Piuttosto chi all’autore fornisce condizioni di possibilità e ragion d’essere. Editori ed editor. Recensori e promotori. Soprattutto i lettori che, obiettivo primo e fine ultimo di ogni bene dell’ingegno trasposto in un bene di consumo cartaceo, spesso ignorano (è meglio che ignorino) i legami sottili e segreti tra l’opera e la sua fabbricazione.
Si annuncia timidamente come «Un tentativo», ma è un trucco riuscito, uno strano prodigio, un piccolo miracolo. Il suo artefice, o prestigiatore, Matteo Codignola, estrae una balena da una scatola. Guardatela bene: è inconfondibile, è proprio Moby Dick. Stava chiusa in una gabbiotto, uno scatolotto di legno, lungo quattro metri, alto e largo due, in cui il genio teatrale di Roberto Abbiati l’ha ridotta a uno spettacolo di 15 minuti per 15 spettatori offerto come Una tazza di mare in tempesta. Fosse tutto lì, sarebbe (sembrerebbe) un gioco da ragazzi. E come show per grandi e piccini, appunto, la micro pièce è andata recentemente in scena a Torino. Il bello però (e impossibile: un vero paradosso) è che insieme, dalla scatola, Codignola tira fuori un mucchio di altre cose. In ordine sparso: un costume da canguro, la racchetta da tennis di Stefan Edberg, le scarpette dei ballerini di Fame, le note delle canzoni di Tom Waits, il testo integrale di un romanzo di Stephen King. Le più grosse, anche al cospetto dell’immensa balena bianca, sono tre. L’ammissione inconfessabile dell’impulso di ogni suo lettore: saltare. La missione professionale e segretissima dell’editor o redattore: tagliare. L’intenzione soccorrevole e pia dell’editore: sfrondare, alleggerire, accorciare. Ma sul più bello (è mai possibile?) Codignola smentisce tutto quanto e convince del contrario tutti quelli che già dicevano «è vero!, ma guarda!, evviva!».
«Cercansi lettori di Moby Dick», dice lo scrittore, debuttante, con il suo Un tentativo di balena (Adelphi, pagg. 152, euro 13). «Non vorrei sembrare pedagogico. Ma è falso quel che pensa Ismaele quando nella prima scena dello spettacolo di Abbiati guarda interdetto il pubblico, incredulo che qualcuno sia ancora disposto ad ascoltare la storia che ripete dacché è sopravvissuto. Non sono tanti i lettori del romanzo che, gigantesco, pieno di pieghe e di ombre è davvero un oggetto sconosciuto. Io non ho un’attrazione per i classici, ma Moby Dick è un assoluto capolavoro. La prosa di Melville, campione di virtuosismo nel senso migliore, non ha eguali. Magnifica, difficilissima: in confronto Joyce è un romanziere da cappa e spada. Nell’Ulisse almeno succede qualcosa. All’equipaggio del Pequod, per centinaia di pagine non accade assolutamente nulla. È un paradosso. Uno dei tanti. Moby Dick sembra una narrazione realistica, ma è un lungo viaggio in una testa. Ha un forte aspetto concreto, materiale, ma è una pura esperienza mentale. Contiene un mondo di cose, ci trovi tutto quello che cerchi, in realtà non c’è dentro niente. Un caso unico».
Sull’eccezionalità del monstrum di Melville gli crediamo a occhi chiusi. Un tentativo di balena è il suo primo libro. Ma quando parla di libri - e di lettori, redattori, traduttori, editori - Codignola sa (molto più di) quello che dice. In Adelphi è di casa. Cugino (o nipote, ma non è questo che importa) di Roberto Calasso, è a capo dell’ufficio stampa. Ha tradotto La versione di Barney di Richler, Edward Gorey, il Terrore dal mare (nota bene) di Langewiesche. Ha cercato, scovato, puntato su titoli e talenti (Michael Pollan, Lawrence Osborne, Anna Politkovskaja) che danno pregio a collane e cataloghi. Sul «dietro le quinte» e i retroscena della fabbrica dei libri potrebbe raccontare - o «rendere testimonianza giurata in un processo che mi auguro rinviato sine die» - molto più di quanto dica stando sul proscenio di Abbiati.
Invece preferisce la divagazione alla deposizione, all’arringa la gag e la boutade. Predilige la scrittura stringata e l’estetica della brevità. La logica del paradosso. Il tromp l’œil, e l’orologio: «Sbarcando da Una tazza di mare in tempesta alla fine dello spettacolo il pubblico non riesce a credere che sia durato solo un quarto d’ora», racconta. Approdato alla fine di Un tentativo di balena il lettore continua per un bel po’ a sorridere tra sé e sé, stentando a credere di aver letto solo 150 pagine. Favorisce la prosa asciutta, lo humour controllato, lo stile misurato. Così, nel pieno rispetto dell’anonimato dell’editor, ne mette a nudo le segrete pulsioni sublimate in «un mandato professionale». Rivela che, quando si vede arrivare sul tavolo una risma di fogli da trasformare in un libro, per prima cosa si augura «che diventi un po’ meno». Poi però ci fa nome e cognome di un grande editor di Moby Dick: «Nathaniel Hawthorne, non l’ho citato nel libro, ma fu l’unico che di fronte alla mole del romanzo ebbe il coraggio di dire a Melville: non fermarti, vai oltre, fai di più. Il guaio è che nell’editoria contemporanea gli Hawthorne non abbondano».
Già, l’editoria contemporanea. Il benevolo mandante dei tagli dell’editor è l’editore, preoccupato di «risparmiare al lettore pagante i tormenti del lettore stipendiato». E «il beneficiario virtuale di queste mutilazioni è il lettore debole, frettoloso, impaziente che agli editori fa sempre comodo postulare», dice Codignola. «È un’idea fantasmatica, irreale, sbagliata del lettore. In realtà c’è chi, non sono pochi né deboli, di libri ha bisogno davvero. Perciò questa tendenza dell’editoria andrebbe moderata. Non vorrei dare l’impressione di difendere la categoria, ma c’è tutto un sistema che rema in questa direzione». E qui, in nome della sacrosanta brevità, si astiene dal dilungarsi sulle efferatezze dell’industria editoriale e le atrocità del mercato culturale.

Quanto all’accoppiata con Abbiati: «Siamo diversissimi, ma sembriamo una coppia da avanspettacolo. Lui è l’uomo delle montagne finito baleniere involontario. Ha, come Cesare Pavese, un sacro “terrore del mare” (il mio elemento, sono nato a Genova) e affronta le tempeste in una tazza».

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