È stata così poco una sorpresa che non è neanche una sorpresa che non sia una sorpresa: Hillary Rodham Clinton ha ufficializzato il proprio status di candidata alla Casa Bianca. Ha compiuto cioè il passo che tutti si attendevano da lei dal giorno in cui suo marito, Bill Clinton, ha completato i suoi due mandati promuovendola automaticamente da first lady ad aspirante inquilina in prima persona della Casa Bianca. Da allora Hillary ha messo in moto la sua macchina elettorale, collaudata in due elezioni al Senato per lo Stato di New York, la seconda delle quali plebiscitaria. E adesso eccola, tranquilla e modesta, ad annunciare di avere «formato un comitato di studio» per una sua «eventuale» candidatura alla presidenza. In altri termini, così può cominciare ufficialmente la raccolta di fondi. Hillary avrebbe potuto e probabilmente voluto rimandare questo annuncio di qualche settimana, nel timore di trovarsi messa in ombra dall’esplosione delle polemiche sulla guerra in Irak e il discorso sullo stato dell’Unione che Bush pronuncerà domani l’altro, che suscita una tesa curiosità e certamente susciterà polemiche.
Ma il senatore Clinton è stata indotta ad anticipare i tempi perché i suoi rivali stanno spuntando come i funghi, anch’essi in anticipo, in gran parte motivati dalla situazione irachena. Sono già tredici o quattordici solo per la nomination del Partito democratico. L’ultima in ordine di tempo è il governatore del New Mexico, Bill Richardson, che nonostante il nome è un «ispanico». Ma quello che conta è Barack Obama, il senatore di pelle un po’ nera venuto dall’Illinois e che vola sulle ali delle simpatie. È vero che al voto mancano quasi due anni e un anno all’inizio delle Primarie, ma è nel 2007 che la gara in buona parte si deciderà attraverso la caccia ai contributi finanziari e nessun candidato può permettersi di rimanere indietro. Neppure Hillary Rodham Clinton, fino a questo momento favorita nei sondaggi e nelle previsioni degli esperti.
E allora eccola a posare in un breve filmato per Internet. Seduta compostamente ma adagiata quel tanto da rassicurare coloro che non l’hanno in simpatia perché la trovano troppo tesa, con indosso una giacca rossa: ma il rosso in America non è il colore della sinistra bensì quello della destra e mettersene un po’ addosso può servire a «catturare» degli elettori di centro e da «centrista», o almeno da moderata, la Clinton si è quasi sempre comportata in Senato. È praticamente solo all’estero che è considerata una «progressista», forse per i toni accesi dei suoi proclami femministi o per aver tentato all’inizio del mandato presidenziale di Bill di far approvare una legge che istituisse anche in America il servizio sanitario per tutti, fallendo. E moderato è stato anche il contenuto, forse per stemperare il tono reciso con cui Hillary ha parlato anche questa volta: «Mi candido per vincere. Come senatore ho ancora due anni di tempo per fare tutto ciò che è in mio potere per limitare i danni causati dalla presidenza Bush, ma per riguadagnare la sua posizione di leader riconosciuta nel mondo l’America ha bisogno di un nuovo presidente». Un breve elenco degli obiettivi: la difesa dell’ambiente, la «indipendenza energetica» degli Stati Uniti dalle importazioni di petrolio, la diminuzione di un «deficit federale che mina la stabilità del Paese», un sistema previdenziale e pensionistico e, di nuovo, sanitario.
La guerra in Irak Hillary l’ha menzionata quasi di sfuggita, con una promessa molto vaga: «Finirla in modo giusto» che si distacca dal tono più reciso di molti altri aspiranti alla candidatura democratica e, se è per questo, di un numero crescente di repubblicani «ribelli» a Bush, ultimo in ordine di tempo il popolarissimo governatore della California Arnold Schwarzenegger, che non può candidarsi perché non è nato americano ma che ha definito «contrario all’interesse nazionale» l’invio di rinforzi in Irak. Il senatore Clinton votò in favore della guerra, come molti altri democratici del resto e cerca di correggere la rotta in modo non drastico. Del resto Hillary è un avvocato, di grande successo. Fu lei fra l’altro a mantenere la famiglia negli anni in cui Bill era governatore dell’Arkansas con uno stipendio annuo di 35mila dollari e lei si faceva pagare molto di più per le consulenze sugli investimenti, alcuni dei quali sollevarono qualche presunto scandalo, finito poi nel nulla. Gli ultimi anni di presidenza Clinton furono occupati, naturalmente, dalla sua relazione con Monica Lewinsky e dal comportamento responsabile e moderato di Hillary, moglie fedele e comprensiva anche se orgogliosa.
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