Nell'ufficio del caseificio Scalabrini, a Ghiardo di Bibbiano, tra diplomi e foto-trofeo è appeso al muro anche un monitor. Uno schermo sempre acceso con 12 inquadrature dell'azienda agricola, 12 telecamere puntate in ogni angolo della grande proprietà: ingresso, stalla, campi, deposito del Parmigiano Reggiano, abitazione del casaro. «Sa com'è, quattro furti in tre mesi...», sospira Ugo Scalabrini, uno dei titolari. Sul telefonino mostra un video ricevuto da un altro malcapitato. Nel buio si vede un trattore che piomba su un deposito per la stagionatura del formaggio e abbatte il portone. Da destra arriva un furgone in retromarcia, quattro figure in passamontagna scendono, aprono i portelloni e corrono a caricare le forme. Sanno di avere cinque-sei minuti per la razzia, carabinieri e proprietari non riuscirebbero ad arrivare prima. Quando il tempo è scaduto, tutti a bordo e tanti saluti.
«Non sa che rabbia monta ogni volta che rivedo queste immagini», si scalda Scalabrini. Quel furto è avvenuto poco lontano dalla sua azienda, il trattore era stato rubato da un contadino confinante. Da lui invece sono arrivati con i camion. La prima volta hanno sfondato il cancello, spaccato una vetrata del magazzino e piazzato un'asse di legno su cui hanno fatto rotolare un'ottantina di forme. Scalabrini ha murato il finestrone, scavato un fossato attorno all'edificio e messo allarmi all'esterno in aggiunta a quelli esistenti su porte e finestre, ma dopo qualche settimana un'altra trentina di forme ha preso il volo lo stesso. «C'era il casaro alla finestra che urlava, ma loro hanno fatto come se non ci fosse». Alla terza visita sono state rubate 20 forme nonostante lo scavo di una seconda trincea a un paio di metri dalla prima. Al quarto assalto la fattoria era diventata una specie di Fort Knox e per poco i carabinieri non riuscivano a intercettare la banda che fuggiva a mani vuote.
LE BANDE DELL'EST
Bibbiano, San Bartolomeo, Campegine, Guastalla: la mappa è estesa e i colpi non sono stati messi a segno soltanto nel Reggiano. I furti di Parmigiano ci sono sempre stati. «Ma dal 2012 sono entrate in azione bande organizzate», racconta Riccardo Deserti, direttore del Consorzio di tutela del formaggio dop. In questi quattro anni sono sparite 20mila forme. Il conteggio dei danni è presto fatto: ogni forma vale 350-400 euro (una quarantina di chili per circa 10 euro al chilo), quindi siamo tra i 7 e gli 8 milioni di euro. Agli inizi erano colpi facili. I topi del Parmigiano si concentravano sui caseifici più isolati, quelli più gelosi delle loro tradizioni e abilità, che curano da sé tutta la stagionatura e magari hanno magazzini vecchi, fatti di murature pensate per trattenere temperatura e umidità, non banditi armati di ariete.
Molti produttori si stanno attrezzando. Già dormivano poco, perché fare il Parmigiano è rimasto una specie di lavoro forzato: le vacche vanno munte due volte al giorno, tutti i giorni che Dio manda in terra, non c'è Natale o 1° Maggio che tenga, e il formaggio dop va lavorato ogni mattina. Ora sono sempre in guardia perché la paura dei saccheggi resta alta. Le stazioni locali dei carabinieri hanno intensificato la presenza sul territorio, ma non è facile presidiare tutti i 339 caseifici artigianali.
Il nemico non ha un volto preciso: l'unica certezza è che i banditi sono ben preparati e i colpi vengono compiuti su commissione di qualcuno che sa come ricettare e rivendere il bottino. «Sugli autori dei furti per ora si fanno soltanto ipotesi ammette Deserti -. Si pensa a bande dell'Est europeo che vogliono aggirare il blocco dell'import-export con la Russia o a qualche organizzazione malavitosa del Centro-Sud Italia che rifornisce canali distributivi come certi ambulanti rionali o certi locali. In realtà non è mai stato possibile tracciare la refurtiva».
Aggiunge il direttore del Consorzio di tutela: «Il fenomeno è andato di pari passo con l'aumento della criminalità nelle nostre zone, le aziende agricole erano già prese di mira con i furti di gasolio o di bestiame. Il Parmigiano è un bene di elevato valore. Un carico di una ventina di forme può sfiorare i 10mila euro sul mercato nero, è più remunerativo di altri beni, e molti caseifici costituiscono bersagli facili: la gran parte sono isolati, artigianali, non possono dotarsi di misure di sicurezza troppo sofisticate. In certi casi la vulnerabilità è un fatto strutturale. Oggi le bande agiscono meno, molti furti si concentrano sotto Natale quando lo smercio clandestino è più facile, ma il fenomeno non è estirpato».
MAGAZZINI A KM ZERO
Vulnerabilità strutturale, dice Deserti. Bisogna entrare in un caseificio per constatare quanto abbia ragione perché il Parmigiano Reggiano si fa ancora come una volta, con il casaro che valuta col gomito la temperatura del latte e decide il momento in cui versare il siero innesto, aggiungere il caglio o rompere la cagliata. Una cura che continua durante la stagionatura che il mercato vuole più lunga di un tempo, e per questi 24, 30, 36 mesi o anche più le forme ogni settimana o due vengono sollevate, spazzolate e girate sulle scalere. C'è artigianalità, tradizione e anche gelosia per il proprio lavoro. Qui il «chilometro zero» non è una trovata di marketing perché molti produttori si separano dal loro formaggio soltanto al momento di venderlo.
E c'è qualche ritrosia anche davanti a un sistema di conservazione che garantirebbe al tempo stesso la sicurezza contro i ladri e il rispetto dei requisiti di stagionatura fissati dal disciplinare del Parmigiano dop. È quello dei grandi magazzini generali che riescono a stivare più di 200mila forme di formaggio. Proprio in questi giorni partono i lavori per costruire un nuovo magazzino a Montese, sui primi rilievi dell'Appennino modenese, con un investimento di nove milioni di euro. È una struttura destinata a ospitare la produzione di montagna, che da qualche tempo è oggetto di una particolare attenzione del Consorzio, che prevede una stagionatura in loco di almeno 12 mesi. Un deposito di 10mila metri quadrati con scaffalature che sviluppano una lunghezza di 85 chilometri sulle quali poggeranno 170mila forme di Parmigiano protette da cancelli di sicurezza e muri antisfondamento. Sarà pronto per la fine dell'anno.
«I magazzini del Parmigiano non sono una novità: sono nati come emanazione delle banche», racconta Camillo Galaverni, commercialista di Reggio Emilia e amministratore delegato della Gema, l'azienda che costruirà il deposito di Montese ed è proprietaria di un altro capannone, più grande ancora (230mila forme), a Castelnovo di Sotto, a metà strada tra il capoluogo e Brescello. «Anni fa a Reggio Emilia c'erano quattro magazzini, tutti di emanazione bancaria: uno della Comit, un altro della Cassa di risparmio, un terzo del San Geminiano e San Prospero e il quarto del Credem. I primi due sono stati trasformati in centri commerciali, gli altri sono ancora operativi».
TELECAMERE E SENSORI
Quello di Castelnovo di Sotto è sorto alla fine degli anni '80 su iniziativa dello stesso Galaverni e di una famiglia di agricoltori, gli Zoboli, cui successivamente si è aggiunto il Banco San Geminiano e San Prospero (poi assorbito dalla Banca popolare di Verona). «Gli istituti di credito spiega il professionista reggiano hanno sempre concesso finanziamenti avendo il Parmigiano come garanzia. I magazzini generali prendono in carico le forme, le accudiscono durante la stagionatura secondo il disciplinare e sono autorizzati a emettere note di pegno e fedi di deposito, titoli di credito rappresentativi di merce equiparabili a un assegno o una cambiale. I vantaggi per i produttori sono molteplici: hanno la garanzia che le forme vengono curate come si deve, possono concentrarsi sulla fase produttiva, ottengono finanziamenti su beni che rimangono immobilizzati almeno due anni. E adesso, con i tempi che corrono, dormono tranquilli perché i ladri se ne stanno alla larga».
Lungo la Via Emilia i bunker della stagionatura sono numerosi. L'esterno è anonimo, enormi capannoni di cemento preceduti da un grande piazzale di manovra per i camion, circondati da alte inferriate. Telecamere, sensori, un cancello doppio a prova di blindato. Lo spettacolo è all'interno, con le scalere che si rincorrono e una quantità di forme di Parmigiano a perdita d'occhio, tutte allineate, pulite, marchiate, controllate e protette: 230mila forme equivalgono a 92 milioni di euro depositati in questo caveau del gusto.
«Chiamarlo bunker è esagerato dice Galaverni , anche quello di Montese abbiamo deciso di costruirlo per il formaggio di montagna più che contro i ladri. A ogni buon conto, abbiamo tre livelli di allarme e un bel pacchetto di assicurazioni. Ma a parte un tentativo nel 1988, non è mai successo nulla».
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