I classici e il profitto

I n giro per il mondo si assiste ad un paradosso: vengono ridotti e tagliati i fondi per l’educazione classica a favore di quella scientifica e tecnologica ma le imprese si orientano - ormai da tempo - nella ricerca ed assunzione di management che abbia formazione classica. Uno scientismo e un tecnologismo pressappochista fanno presupporre che per lo sviluppo economico siano tanto essenziali le componenti scientifiche della formazione quanto poco importanti ed utili le componenti umanistiche e soprattutto classiche. Come a dire che nella società e nei mercati globalizzati si riesce a rimanere solo aumentando il Pil e per ottenere questo risultato l’istruzione deve essere indirizzata, fin dagli inizi del percorso scolastico, lontana dalla classicità e vicina alle materie utili per il lavoro. Per fare profitto le humanities non servono, sono superflue e spesso inutili o anche dannose perché distolgono dall’obiettivo principale.
Un errore madornale che può costare molto alla società nel suo complesso, alla democrazia e non ultimo proprio al mercato. In un certo senso potremmo dire: chi di profitto ferisce di profitto perisce.
Di questi problemi si occupa Martha C. Nussbaum nel suo recente libro Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica (Il Mulino). L’autrice, che insegna Law and Ethics all’università di Chicago e che ha passato molto tempo in India (dove ha intrattenuto rapporti con Amartya Sen del quale, nel libro, riecheggiano motivi ed idee), sostiene che sia in atto una vera e propria crisi mondiale dell’istruzione, sia pure partendo dall'osservazione di due sistemi in particolare: quello indiano e quello statunitense, ma con tratti che investono la maggioranza dei sistemi formativi a livello globale. «Le Nazioni - scrive la Nussbaum - sono sempre più attratte dall’idea del profitto; esse e i loro sistemi scolastici stanno accantonando, in maniera del tutto scriteriata, quei saperi che sono indispensabili a mantenere viva la democrazia. Se questa tendenza si protrarrà, i paesi di tutto il mondo ben presto produrranno generazioni di docili macchine anziché cittadini a pieno titolo, in grado di pensare da sé, criticare la tradizione e comprendere il significato delle sofferenze e delle esigenze delle altre persone».
La formazione classica crea una conoscenza che nutre la libertà di pensiero e di parola, l’autonomia del giudizio fondamentale per la cittadinanza democratica. Ma ciò che risulta di fondamentale importanza per la democrazia lo è, nondimeno, per lo sviluppo economico e dei mercati. La Nussbaum ci informa di ciò che emerso da studi sulle imprese americane dai quali si evince che i formatori delle maggiori aziende statunitensi sottolineano come alcuni dei maggiori fallimenti recenti siano proprio dovuti alla incapacità di top manager di vedere oltre il ristretto orticello dei profitti di impresa. Sono risultati privi di quella dose necessaria di immaginazione indispensabile per l’innovazione. La formazione tecnica e scientifica non sono sufficienti a fornire quel più di creatività che è proprio della formazione classica e umanistica. Ciò che è fatto in nome del profitto finisce, come dicevamo all’inizio, per ritorcersi contro il profitto stesso.

La persona non è qualcosa dal quale si può prendere indefinitamente senza tenere conto della sua struttura di base. In essa è contemplata una formazione che non si limiti agli aspetti di ciò che c’è da fare a scapito della conoscenza di ciò che l’umanità ha già fatto. La sua storia e la sua cultura.

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