"I Maestri si sono estinti. Quelli buoni e quelli cattivi"

In "Senza eredi" lo scrittore allestisce una galleria di grandi autori. "Ma la loro opera è misconosciuta"

"I Maestri si sono estinti. Quelli buoni e quelli cattivi"

I grandi scrittori? Tutti di destra. Così parlò Giovanni Raboni il 27 marzo 2002. E per esternare il pronunciamento scelse una tribuna di tutto rispetto: il Corriere della Sera. Senza girarci troppo intorno, indicò nomi e cognomi: «Barrès, Benn, Bloy, Borges, Céline, Cioran, Claudel, Croce, D'Annunzio, Drieu La Rochelle, T.S. Eliot, E.M. Forster, Gadda, Hamsun, Hesse, Ionesco, Jouhandeau, Jünger, Landolfi, Thomas Mann, Marinetti, Mauriac, Maurras, Montale, Montherlant, Nabokov, Palazzeschi, Papini, Pirandello, Pound, Prezzolini, Tomasi di Lampedusa, Yeats...». I punti di sospensione conclusivi stanno a indicare la non completezza della lista, assai più estesa. In fondo la provocazione «controcorrente» di Raboni affondava la lama per recidere la purulenta escrescenza, separando nettamente la creazione dall'ideologia: l'arte non è soggetta alla politica.

Nel 2017 Marcello Veneziani pubblicò Imperdonabili (Marsilio). Maestri del Pensiero e delle Lettere «fuori dal coro». Totalmente estranei al «pensiero dominante» postmodernista, liberale, progressista e di sinistra. Per larghi tratti la lista di Raboni (ripubblicata di recente nell'elegante edizione di De Piante) coincide con quella di Veneziani. Che torna sull'argomento con un esauriente aggiornamento: Senza eredi. Ritratti di maestri veri, presunti e controversi in un'epoca che li cancella (Marsilio, pagg. 336, euro 19). Una cavalcata di profili da Marsilio Ficino ad Alessandro Manzoni, da Gabriele d'Annunzio a Roberto Calasso, da Pavel Florenskij a Massimo Cacciari, da Sibilla Aleramo a Joseph Ratzinger. Dalla lettura si ricava un'impressione: nessuno ha più voglia di raccogliere l'eredità dei Maestri. La cura del proprio orticello intellettuale e morale è ritenuta sufficiente. Giriamo la domanda all'autore.

«È davvero un'impresa temeraria parlare di Maestri in un'epoca che non conosce eredi e non si riconosce erede di niente e di nessuno. Siamo condannati a non lasciare alcuna eredità. Viviamo un tempo ristretto alla sola contemporaneità, senza antenati né posteri».

Dunque, dopo di noi verrà il diluvio?

«Non ho alcun dubbio, poiché siamo arrivati all'epilogo coerente di una società senza padri e priva di figli. Alla fine, il nichilismo mantiene la promessa: dopo di noi il nulla».

Quindi la Tradizione è morta e sotterrata?

«L'opera dei Maestri viene disconosciuta. Dal passato non estraiamo più le chiavi di lettura necessarie ad aprire le serrature del tempo che verrà. Si consuma così l'eredità verticale e la trasmissione circolare con chi ha scritto prima di noi».

Qualche anno fa riflettendo sulla «scomparsa del passato» Jean Baudrillard azzardò un'amara constatazione: è tutto finito! È tutto finito?

«Credo di sì. È lo spirito del tempo. L'Italia in fondo è un piccolo Paese, in possesso però di grande civiltà, cultura, arti. Eravamo nani sospesi sulle spalle di giganti. Abbiamo deciso di scendere. A forza di rinnegare ogni grandezza del passato, siamo scivolati in basso».

Si ha l'impressione, leggendo i ritratti dei Maestri cesellati con avvincente scrittura da lei, che la cultura contemporanea, in ogni manifestazione, sia determinata dal narcisismo autoriale.

«Esatto. Da poco la Treccani ha riproposto la voce autorità redatta per l'Enciclopedia italiana da Augusto Del Noce. Un filosofo che aveva capito dove il mondo sarebbe andato a parare. Se nel pensiero si impone la visione del nulla, non c'è più nulla da tramandare. Così si sono estinti i Maestri, alla pari dei dinosauri. Gli erbivori e i carnivori, senza distinzione. Quelli buoni e anche quelli cattivi».

L'ultimo scritto di Del Noce, pochi giorni prima di andarsene, nel dicembre del 1989 - si tratta del suo inconsapevole ma profetico testamento - è l'introduzione al suo saggio Processo all'Occidente. Un Maestro? L'ideale prosecutore della tradizione italiana inaugurata da Giovan Battista Vico e proseguita da Benedetto Croce e Giovanni Gentile?

«Del Noce lo ritengo il mio Maestro, un intellettuale di spessore altissimo, che visse la condizione di studioso solitario e isolato. Nella prima metà del Novecento due filosofi si sono contesi il primato della cultura: Croce e Gentile. Croce ha influenzato largamente la cultura ma non ha lasciato eredità di pensiero. Gentile ha avuto molti allievi ma quasi tutti l'hanno dimenticato, tradito o ripudiato. Lo stesso è accaduto a Del Noce. La cultura cattolica l'ha anestetizzato, sistemandolo nel ripostiglio, con abbondante naftalina. Il suo capolavoro Il problema dell'ateismo, pubblicato esattamente settant'anni orsono, incuriosisce più studiosi di altro orientamento».

Poniamo speranzosi la domanda conclusiva: qualche Maestro in giro sarà rimasto?

«Continuo a leggere con interesse Alain de Benoist, Roger Scruton, Aleksandr Dugin, Massimo Cacciari, Giorgio Agamben. Sono degli irregolari. La speranza è che dagli irregolari arrivi la contestazione al granitico ordine precostituito, dominato dal politicamente corretto.

Siamo nella medesima condizione dei protagonisti de Il deserto dei Tartari, romanzo straordinario di un grande scrittore irregolare, Dino Buzzati, portato magnificamente sullo schermo da un grande regista irregolare, Valerio Zurlini. Con una sostanziale differenza: i Tartari sono già arrivati»

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