Mi chiedo se agli occhi di uno straccione morto di fame del Ghana, semisvenuto dopo sei giorni passati a stritolarsi su un barcone stipato come San Siro, la nostra distinzione tra immigrazione clandestina e diritto d’asilo non debba sembrare solo una delle astruse fighetterie occidentali di cui siamo capaci noi che abbiamo lo stomaco pieno.
La questione è serissima, non devo neanche dirlo, ma a considerare quei bastardi degli scafisti come dei potenziali Schindler io faccio una fatica d’inferno. Il che è niente rispetto allo sforzo deliziosamente occidentale di dover poi discernere tra diritto d’asilo, rifugiati, asilo politico, rifugiati politici e profughi, discutendo poi se dobbiamo rifarci alla Convenzione Onu del ’51, a quella di Addis Abeba del ’69, alla Dichiarazione di Cartagena dell’84, alla Convenzione di Roma del ’50 o a quella di Dublino del ’97. Questo mentre l’unica distinzione che pareva chiara, quella tra chi fugge per delitti politici e chi scappa per delitti comuni, non l’ha ancora capita nemmeno il Brasile che se la mena trattenendo l’assassino Cesare Battisti.
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