La ricorrenza del Capodanno a Roma è tradizionalmente legata a tutta una serie di rituali concepiti per «ammazzare» lanno vecchio e propiziare larrivo di quello nuovo.
Per conoscere le usanze «nella notte de lurtimo de lanno» nella Roma fine Ottocento occorre riferirsi alla codificazione popolare riportata da Giggi Zanazzo: «A mezzanotte e un minuto, ossia quanno stà per entrà lanno novo, ortre a fa li brindisi e la bardoria solita, shanno da buttà da la finestra tre pile de coccio piene dacqua, co tutte le pile. Sto rimedio serve per allontanasse da casa la jettatura, la sfurtuna e tutti lantri sciangherangà (disgrazie, ndr) der medemo genero...». Per augurare a parenti e amici buona salute e una vita lunga «... usava regalasse una pigna indorata e inargentata» .
Una fine danno tranquilla per la borghesia romana fu quella del 1886, descritta con toni decadenti sulla «Tribuna» da Gabriele DAnnunzio, per loccasione «nascosto» dietro lo pseudonimo di Puck. Vi fu «poco spargimento di vin di Sciampagna e di poesia ditirambica», riferiva il Poeta. «Le cene allegre, non sine candida puella, sono state pochissime. I restaurants eleganti erano già chiusi unora dopo mezzanotte. Al Caffè di Roma due sole momentanee cenavano in compagnia di quattro o cinque uomini calvi e taciturni. Da Doney unartista doperetta, in cappellino rosso, empiva delle sue risa chiare e dei suoi motti tra napoletani e viennesi lonestissima pace delle sale deserte. Un farmacista elegante, in un angolo appartato, mesceva vin di Borgogna a una piccoletta bruna che bevendo lambiva il bicchiere con la sottile lingua rosea, graziosamente, come una gatta. E in un altro angolo due sposi novelli mettevano sul pane un po di fegato doca, svogliatamente, con gesti assai languidi, guardandosi negli occhi, mentre lo Chablis rideva nel bicchiere, limpido e giallo come un topazio. I camerieri, appoggiati alle malinconiche colonne del commendatore Azzurri, sonnecchiavano o sbadigliavano...».
Sonnolento e non salutato dai botti, piatti e pentole vecchie gettate a mezzanotte dalle finestre fu il passaggio dal XIX al XX secolo, con la sola eccezione dei concertini improvvisati, seguiti da un codazzo di nottambuli sfaccendati, che percorsero tutta la notte le vie di Roma, sfidando i rigori della stagione.
Anche per il primo giorno dellanno nuovo a Roma cento e più anni fa si rispettavano ben precise tradizioni gastronomiche legate alla scaramanzia, per la verità non molto lontane da quelle attuali, per cui «se magna luva appassita, la lenticchia cor codichino e co le braciole de majale; accusì, dice, se cònteno quatrini tutto lanno». Non mancavano i rituali scaramantici per allontanare i problemi di ogni giorno: Nun se pagheno li debiti, si no tutto e resto de lanno nun se farebbe antro che pagà; se fa in modo, in tutta la giornata, de sta alegramente, e de smaneggià più quatrini che uno pò».
Alle «regazze», Zanazzo raccomandava in particolare: «Annate su la porta de casa, pijate una ciavatta, e buttàtela o sur ripiano der primo capo de scale, oppuramente de fòra der portone. Si la punta de la scarpa o de la ciavatta, in der cascà che fa pe tèra, arimane arivortata verso la porta o er portone de casa che sia, allora è segno che puro drento lanno nòvo nu sposate; ma si la punta de la ciavatta arimane vortata verso luscita, allora è segno che drento lanno ve maritate certamente».
Unaltra prova tipica dellultimo giorno dellanno era quella «de le tre fave», oppure quella «de li tre aghi infilati».
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