Che cosa rende un libro un bestseller? Che cosa lo proietta nella classifica dei più venduti, determinando il sollievo dell'editore e la dilatazione dell'ego dell'autore? L'unica risposta sensata è: «Non si sa». Perché, se si sapesse, al mondo ci sarebbero solo bestseller. E invece in Italia, dei circa 80mila titoli in uscita ogni anno (sì, avete letto bene, ottantamila), quelli che superano il migliaio di copie vendute sono una cifra esigua. La maggioranza non ne vende neanche una. Del resto meno del quaranta per cento degli italiani legge almeno un libro all'anno. E la convenzione vuole che per essere chiamato bestseller un libro debba vendere cinquantamila copie. D'altronde, se gli autori italiani che vivono solo di scrittura saranno una decina, un motivo ci sarà.
Che cosa fa vendere un libro? È dunque la domanda delle cento pistole, a fronte di migliaia di pistole che credono di aver scritto un capolavoro. E inondano le case editrici di proposte insulse. Anche perché non sanno che i meccanismi editoriali, tanto per cominciare, sono molto più complessi di quel che sembra. A capirlo, può essere utile un volume esauriente, chiaro e molto ben documentato (dunque di ausilio a chi vorrebbe pubblicare), Operazione bestseller, di Valentina Notarberardino (Ponte alle Grazie, pagg. 352, euro 19,90). L'autrice spiega come un libro viene scelto, stampato, promosso, distribuito, eventualmente rimandato al mittente. Intanto: un libro che non ottiene un lancio adeguato ha pochissime probabilità di sopravvivere oltre i tre mesi dallo sbarco in libreria. Annega fra tutti gli altri, la sua stessa esistenza ignorata. I casi di titoli che hanno avuto successo grazie al passaparola sono pochissimi: Cuore di Edmondo De Amicis andò moltissimo oltre le aspettative dell'editore Treves. Persino Il nome della rosa di Umberto Eco, uscito nel 1980, uno dei libri italiani più venduti nel mondo, aveva avuto un lancio relativamente tiepido. Idem, all'estero, per Harry Potter, poi fenomeno planetario. Oggi il passaparola è avvertibile nella poltiglia dei social media, che fanno da volano più della tv e dei giornali. È ormai evidente che il critico letterario è una nullità rispetto al Tiktoker, e i libri in tv devono passare attraverso programmi generalisti, in particolare essere sventolati da Fabio Fazio, o nell'intero palinsesto, come fa Bruno Vespa nell'annuale autopromozione natalizia.
Il caso dell'anno scorso di passaparola letterario è stato Ferrovie del Messico, di Gian Marco Griffi, libro pubblicato da un piccolo editore, Laurana, ma promosso attraverso la sapiente orchestrazione di una vecchia volpe dell'editoria, Giulio Mozzi. Griffi è oggi esaltatissimo. Per il resto, bisogna vedere di che libro si parla, dato che gli adolescenti leggono e si appassionano di cose tutte loro, di genere fantasy, young adult, o romance, roba che per un boomer come lo scrivente appare astrusa, per non parlare dei manga o dei fumetti, altra galassia assimilata ai libri, ma che con la letteratura tradizionale ha ben poco a che fare. Agli editori interessano i numeri, anche se poi dicono che tengono alla qualità. Bisognerebbe intanto sapere che cosa sia, questa qualità. I libri di Fabio Volo sono di qualità? La scrittrice turbofemminista e queer Michela Murgia, che ha fatto coincidere la propria morte con un'operazione di marketing gigantesca (massimo rispetto, non è mica facile) sosteneva che fossero delle porcherie. Però la gente le compra. È gente che probabilmente di libri non ne legge, ma se si accontenta, che male fa? Del resto, bisognerebbe definire con precisione il successo di un libro o di un autore, se sia legato alle vendite o alla durata o al gradimento. Della maggior parte dei bestseller, infatti, si perde traccia. Che cosa sarà, fra vent'anni, delle Cinquanta sfumature di grigio? Enrico de' Conti Novelli da Bertinoro, in arte Yambo, al giro di secolo del Novecento era uno degli scrittori più letti in Italia (soprattutto dai ragazzi) per le sue storie di genere fantascientifico. Oggi, dimenticato. A volte invece, dopo la morte arriva il successo. Come nel caso di Ada D'Adamo, autrice di Come d'aria, libro autobiografico sulla sciagura famigliare e personale. L'autrice è deceduta appena dopo essere entrata nella dozzina finale del premio Strega, che ha vinto postumo.
I premi letterari: Strega e Campiello, per citare i due più utili. Vincerli è un successo d'immagine. E garantisce un minimo di venduto. Chi li disdegna è perché non li ha vinti, dicono. C'è un noto scrittore che, avendolo perso, denunciava i brogli della giuria, salvo trovarli perfettamente adeguati quando poi lo ha finalmente vinto. E così ha potuto avere il suo bestseller. Se in qualcosa pecca, la bella inchiesta di Notarberardino, è di battere un po' troppo la grancassa a una serie di palloncini gonfiati del mondo editoriale. A fianco di interviste a persone che molto ne sanno, come Gianluigi Simonetti, accorto analista di libri costruiti a tavolino, che invita a distinguere fra Canone e Gusto, o Paolo Di Stefano, che da giornalista culturale ne ha viste parecchie, di manovre, e non lo nasconde, abbiamo alcuni intellettuali tascabili, cresciuti sotto le ali della cultura veltroniana di sinistra e di Repubblica, cioè il nulla che non sia acquisizione di privilegi e soddisfazione della vanità. Questi gestori del Nulla vorrebbero per l'appunto darci delle lezioni su come si legge, si scrive, si pubblica, si pensa e si parla. Di scrivere bene ovviamente non sono capaci, impegnati come sono a insegnare agli altri come si fa.
Collezionisti di poltrone, prebende e conflitti d'interessi (pretendono di saper fare tutto), da Giovani Promesse che erano sono ormai, secondo la celebre ripartizione arbasiniana (rievocata anche da Notarberardino), Soliti Stronzi, in attesa di invecchiare da Venerabili Maestri.
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