I vantaggi fiscali dei nuovi Fondi pensione – Parte 1

Proprio in questi giorni circa 12 milioni di lavoratori dipendenti hanno ricevuto o riceveranno l’informativa da parte del proprio datore di lavoro in base alla quale dovranno decidere la destinazione del proprio trattamento di fine rapporto (Tfr) che va maturando. Entro il 30 giugno prossimo, o entro sei mesi dalla data di assunzione, se posteriore al 1° gennaio 2007, i dipendenti del settore privato (a breve potrebbe riguardare anche quello pubblico) dovranno valutare attentamente la convenienza a mantenere l’attuale regime del Tfr, come fino a oggi concepito, o destinare gli accantonamenti che matureranno a una forma di previdenza complementare. Occorre fare una prima distinzione fondamentale, a seconda della data di ingresso nel mondo lavorativo.
Giovani lavoratori
Si tratta di coloro la cui prima occupazione è avvenuta nel 1996 o che a fine 1995 non avevano accumulato 18 anni di contributi. La destinazione del Tfr a una forma previdenziale complementare dovrà essere senza dubbio una scelta forzata per tutti i lavoratori assunti dopo il 1° gennaio 1996, cioè dopo l’entrata in vigore della «riforma Dini» che ha introdotto la metodologia di calcolo contributivo delle pensioni. L’importo della pensione viene infatti determinato moltiplicando il montante contributivo individuale (l’ammontare di tutti i versamenti previdenziali fatti nel corso della vita lavorativa, rivalutati anno per anno in base alle variazioni quinquennali del Pil) per il coefficiente di trasformazione in rendita fissato per legge. Un sistema di calcolo che porta a un importo della pensione meno vantaggioso rispetto a quello previsto prima della riforma. Tali coefficienti, come previsto dalla legge Dini, dovrebbero essere aggiornati con cadenza decennale al fine di adeguare l’importo della pensione all’aumento della longevità della popolazione italiana, anche se la scadenza del 2005 è stata fino ad ora disattesa. L’inevitabile abbassamento dei coefficienti di conversione in rendita, conseguente al crescente aumento dell’età media, comporterà una riduzione dell’importo dell’assegno pensionistico pubblico, con conseguente innalzamento della scopertura previdenziale rispetto all’ultimo reddito percepito. Si possono così immaginare rendite pari al 50-60 per cento dell’ultima retribuzione, che necessitano dunque di un trattamento integrativo per salvaguardare il proprio potere di acquisto.
Un bel taglio alle pensioni di base per chi andrà in quiescenza con il regime contributivo. Anche per i lavoratori che al 31 dicembre 1995 comunque avevano dei contributi pagati ci sarà un taglio. A loro si applicherà infatti un sistema misto: per gli anni fino al 31 dicembre 1995 viene utilizzato il sistema retributivo, mentre per gli anni a partire dal 1° gennaio 1996 si farà riferimento al più penalizzante sistema.
Vecchi lavoratori
Si tratta di coloro che al 1° gennaio 1996, data di entrata in vigore della riforma Dini, avevano già maturato 18 anni di contributi. Per loro resta il metodo di calcolo retributivo della pensione pubblica. In base a tale sistema di calcolo, l’importo della pensione è strettamente legato a due fattori: lo stipendio degli ultimi anni e l’anzianità retributiva. Questo significa che il livello della pensione sarà una percentuale della retribuzione percepita negli ultimi anni di lavoro. Questa percentuale è tanto più alta quanti più anni il soggetto aveva lavorato e contribuito. Ogni anno di lavoro farà crescere questa percentuale del 2% circa. Andando in pensione dopo 40 anni di lavoro si raggiunge una pensione di circa il 75% della propria ultima retribuzione, indipendentemente dall’età. Si percepisce come, con un tasso di sostituzione medio pari a circa il 70-80% dell’ultima retribuzione, non risulti necessario il ricorso a un fondo pensione integrativo. Quindi per questi lavoratori parrebbe convenire la scelta di mantenere l’attuale istituto del Tfr.

Ma è effettivamente così? Il risparmio previdenziale è considerato dal Legislatore meritevole di un trattamento fiscale più favorevole e incentivante rispetto al classico istituto del Tfr, ricoprendo per sua natura un ruolo chiave nella definizione del livello del tenore di vita nella fase del pensionamento.

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