Il quotidiano La Stampa di giovedì 4 gennaio ha dedicato una intera pagina a Norberto Bobbio (oggi ricorre il ventennale della sua morte), firmata da Marco Revelli. Si tratta di una apologia a tutto tondo. Titolo: Norberto Bobbio. Il maestro dell'ascolto. Sottotitolo: «Teorico del dubbio e del dialogo per lui il rispetto dell'altro era presupposto di tolleranza». E così via, di lode in lode, di esaltazione in esaltazione. Nessun dubbio che Bobbio sia stato un grande studioso, e che alcuni suoi libri (su Hobbes, su Locke, su Hegel, per citarne alcuni) siano fondamentali per chi vuole studiare la storia delle dottrine politiche e della filosofia politica. Ma Bobbio non è stato solo questo: è intervenuto spesso nel dibattito ideologico-politico svoltosi nella Prima repubblica, e non direi che egli sia stato sempre un maestro del pensiero liberale-democratico. Mi limiterò ad alcuni esempi. In uno dei suoi libri più noti e più diffusi, Politica e cultura (1955), citato anche da Revelli, Bobbio, discutendo con Togliatti, avanzava l'esigenza che nei paesi socialisti (cioè nell'Urss e nelle cosiddette «democrazie popolari») venissero adottati i princìpi e le tecniche politiche dello Stato liberale. «Difendiamo un nucleo di istituzioni diceva il filosofo torinese che hanno fatto buona prova e vorremmo, ecco tutto, che si trapiantassero anche nello Stato socialista».
Come poteva pensare Bobbio che in Paesi nei quali vigeva un totalitarismo spietato, dove era stato abolito il mercato, dove i dissenzienti venivano inviati nei gulag o messi a morte, potessero affermarsi la divisione dei poteri, l'indipendenza della giustizia ecc.? Poteva pensarlo perché in quegli anni egli si ascriveva alla schiera di intellettuali impegnati in un'opera di mediazione tra cultura liberale e cultura marxista. Bobbio si sentiva tanto più impegnato in quest'opera, in quanto egli abbracciava una visione classista, in senso marxistico, della lotta politica, e si schierava a fianco del movimento che, avendo nell'Urss il proprio punto di riferimento fondamentale, mirava alla costruzione in Italia di uno Stato radicalmente nuovo, di uno Stato socialista.
Bobbio espresse in modo solenne questo suo atto di fede nel corso della sua celebre discussione con Togliatti, discussione che costituiva l'ultimo capitolo di Politica e cultura, e che ne era quindi, in certo modo, il coronamento. «Penso egli scrisse che quest'opera di mediazione nell'attuale situazione storica sia estremamente importante e degna di essere perseguita. Ci siamo lasciati alle spalle il decadentismo, che era l'espressione ideologica di una classe in declino. L'abbiamo abbandonato perché partecipiamo al travaglio e alle speranze di una nuova classe. Io sono convinto che se non avessimo imparato dal marxismo a vedere la storia dal punto di vista degli oppressi, guadagnando una nuova immensa prospettiva sul mondo umano, non ci saremmo salvati. O avremmo cercato riparo nell'isola dell'interiorità o ci saremmo messi al servizio dei vecchi padroni».
L'omaggio al marxismo non era qui soltanto un omaggio a esso in quanto dottrina (cosa, peraltro, assai strana in un filosofo liberale), ma in quanto si era incarnato nell'Urss e nel mondo comunista. Infatti nel saggio di apertura di Politica e cultura un saggio che si intitolava Invito al colloquio, e che risaliva al 1951 Bobbio si chiedeva quale fondamento avesse «l'antitesi oggi proclamata dal mondo occidentale tra la civiltà, rappresentata dal mondo liberale-borghese, e la barbarie in cui viene rigettata senza residui tutta la restante parte del mondo»; e a questa domanda riteneva «di poter rispondere fermamente: nessuno». La Rivoluzione d'ottobre - spiegava infatti Bobbio aveva trasformato un mondo feudale, economicamente e socialmente arretrato, e lo aveva fatto in base a una concezione del mondo e della storia che traeva il suo impulso e il suo alimento dall'estremo punto a cui era giunto il pensiero occidentale. «Il mondo comunista concludeva il filosofo torinese oggi è sotto molti aspetti l'erede e quindi la continuazione della rivoluzione tecnico-scientifica che caratterizza il pensiero moderno». Un riconoscimento, come si vede, di enorme importanza, questo di Bobbio, che da un lato individuava nel marxismo l'espressione più alta del pensiero contemporaneo («Il marxismo riprende e allarga il moto dell'Illuminismo: la pianificazione della società è la naturale e logica conseguenza di quella stessa orgogliosa consapevolezza del proprio potere, di quella illimitata liberazione dai pregiudizi religiosi e popolari, di quella ambiziosa fiducia nella scienza, che aveva condotto alla regolamentazione della natura. Chi oggi rifiuta totalmente il marxismo (...) sappia che deve pure rifiutare, se non vuole rinunciare alla propria coerenza, tutto il pensiero moderno»); e dall'altro lato ravvisava nel comunismo sovietico l'incarnazione di tale pensiero.
È appena il caso di osservare che, in quest'ottica, la denuncia del mondo comunista fatta dai
Koestler, dai Silone, dai Gide ecc., doveva apparire al filosofo torinese poco meno di una bestemmia. Ma il pensiero critico stava dalla loro parte, e non dalla parte di Bobbio. Con buona pace dei suoi entusiasti ammiratori.
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