Inseguire il desiderio. La lezione che i "pazzi" danno a noi normali

Cesare Maria Cornaggia ha dedicato una vita al disagio mentale. Ecco cosa ha imparato

Inseguire il desiderio. La lezione che i "pazzi" danno a noi normali

Giunto all'età della pensione, senza avere mai avuto mire editoriali, un importante psichiatra, che ha dedicato la propria vita alla malattia e al disagio mentale nelle sue infinite manifestazioni, decide - ben consigliato - di dare alle stampe i pochi appunti fondamentali di una vita. Il risultato è Dalla parte del desiderio (Inschibbolet, pagg. 128, euro 12), di Cesare Maria Cornaggia.

Ma gli appunti di una vita, pur preziosi, sarebbero probabilmente rimasti in un cassetto se tutto il lavoro di Cornaggia, tutto il viaggio in un dolore altrui che non si può affrontare senza fare i conti con il proprio dolore, non fosse stato un viaggio accompagnato, guidato. La psichiatria è una scienza (forse), una disciplina, ma è anche un enorme esercizio di libertà personale, perché di fronte a una psicosi il problema principale non è «cosa fare» bensì «cosa essere». Perciò il viaggio nell'inferno della sofferenza psichica ha bisogno non solo di regole o di manuali ma di maestri in carne e ossa. Perché, appunto, è proprio un vero viaggio, pieno di incognite.

Un Virgilio compare fin da subito nelle pagine di questo bellissimo libretto. Lui è la guida, lo duca, il maestro di una vita. Mai nominato, per discrezione e perché rappresenta la Scienza nel suo rivelarsi - ossia non quando tutto è sotto controllo, ma quando il sapere si fa carico della propria insufficienza.

I tanti personaggi, tutti reali, tutti differenti l'uno dall'altro, che si susseguono nei racconti di queste pagine formano una galleria indimenticabile non tanto di malati quanto di conquiste, di crescita. Il medico impara da ciascuno di loro qualcosa di nuovo ed essenziale.

Come il primo caso che ci balza davanti, quello di Angelo, un giovanotto da film americano, che vede ovunque extraterrestri e astronavi ed è ossessionato da mille voci interiori che producono in lui momenti di crisi acuta. Un giorno Angelo dice al dottore che vorrebbe tanto sposarsi e avere figli. Il dottore va dal suo maestro e gli riferisce questa cosa. Forse sulle sue labbra permane l'ombra di un sorriso ironico, come dire «questo vede le astronavi e vorrebbe sposarsi», perché il maestro lo corregge: mi sembra giusto che desideri una vita normale, no?

Insomma, da che parte deve stare il medico? Per cosa deve fare il tifo? Per la malattia conclamata o per il desiderio di una vita come tutte le altre? Noi gente «normale» spesso non ci rendiamo conto di che cosa enorme sia una vita normale, la disprezziamo e cerchiamo un'eccezionalità che spesso conduce all'autodistruzione. Ma un medico da che parte deve stare? Da quella della psicosi o da quella del desiderio? Angelo insegna al suo medico la via giusta: la prima via della cura è stare dalla parte del desiderio, ossia dalla parte sana di un uomo: ascoltarla, aiutarla a crescere. Perché la malattia è anzitutto soffocamento, inibizione, deviazione del desiderio.

Un'altra volta, in clinica psichiatrica, il dottore incrocia due giovani pazienti in abbigliamento da spiaggia. «Dove andate?». «In piscina» risponde uno dei due. Di nuovo, il medico cade nella trappola: «Ma qui non c'è nessuna piscina». La risposta è pronta: «Vede dottore, la differenza tra noi e voi è che noi, per andare in piscina, non abbiamo bisogno della piscina». Sono matti, vien da dire. No, dice il maestro: il loro è un invito a entrare nel loro mondo, a partecipare del loro desiderio di andare in piscina.

Così, episodio dopo episodio, volto dopo volto, il maestro aiuta il discepolo a imparare, a farsi curare dai propri pazienti. Il metodo di cura che egli propone, senza mai stancarsi, ha una valenza universale perché, nel delineare un cammino scientifico, sottolinea una regola che vale per tutti i rapporti umani. Tutti noi, davanti agli altri (figli, coniugi, amici, colleghi, nemici) possiamo decidere in ogni istante se stare dalla parte delle nostre pretese e dei nostri (pre)giudizi o dalla parte del desiderio: quello nostro e quello altrui. Tutti noi desideriamo una vita semplice ma, come dice Ernest Hemingway, ce la vietiamo di continuo.

La pagine più bella, solenne e commovente, è dedicata però all'ultimo incontro di Cornaggia con il suo maestro, poche ore prima della sua morte. Il maestro gli parla, stranamente, della bellezza. Se «bello» e «brutto» sono due categorie astratte, allora si può discutere all'infinito su cosa sia bello e cosa no. Eppure tutti, tra una scena di devastazione e un meraviglioso tramonto, sanno riconoscere cosa è bello e cosa brutto. Parole semplici, quasi ingenue eppure immense. Il messaggio è chiaro. Il primo e più grande magistero per uno scienziato (e per un uomo) è la realtà, quello che Giovanni Testori definì «l'indirizzo infallibile» per tutti i nostri maldestri, presuntuosi tentativi di conquistare il mondo: amare la realtà. Artisti, scienziati, gente semplice: la via è questa sola, la più bella, la più semplice eppure anche la più difficile da seguire, perché è più facile rincorrere le proprie immagini che aderire al vero.

Nella scena conclusiva, il maestro chiede al discepolo di sistemargli il pappagallo perché deve fare pipì. È un momento sacro e solenne, che ricorda sia il finale del Fedone sia l'Ultima Cena. Non so se Cornaggia si sia reso conto della grandezza di queste righe, forse no (ed è meglio così). Nel suo atto supremo, il maestro consegna al discepolo il proprio povero corpo ridotto ormai a poco più che nulla.

Non è il corpo a contare qualcosa, ma la vita intera che, con il corpo, si consegna agli altri, perché nessuno di noi dà veramente qualcosa al suo prossimo se non dà tutto, fino all'ultima goccia di sangue, e non si dà tutto se non per una causa grande. E tutte le cause grandi si possono forse riassumere in un'unica frase: amare la realtà più di sé stessi. Questo è il desiderio.

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