Basta digitare su Google «Gianumberto» e viene subito fuori il suo cognome: Accinelli. Va bene, Gianumberto non è un nome molto diffuso, però neanche il suo mestiere è particolarmente popolare. Gianumberto Accinelli è un entomologo, uno che studia gli insetti, ed è diventato una celebrità, grazie al modo tutto suo che ha di raccontare il mondo della natura, ai ragazzi nei suoi libri e al grande pubblico su Radio Deejay (alla trasmissione di Fabio Volo). Accinelli spazia dalle farfalle alle api, dall'energia del Sole al Dna: e proprio quest'ultimo è il protagonista del suo nuovo romanzo, Mio nonno era una scimmia (Piemme), in cui l'acido desossiribonucleico narra in prima persona le nostre origini.
Gianumberto Accinelli, nel suo nuovo libro immagina la nascita di una serie di cose per noi oggi normali, come l'agricoltura, l'allevamento, l'addomesticamento dei primi gatti... Come le è venuto in mente?
«Tutto nasce dall'osservazione della natura, che a uno sguardo quotidiano può sembrare scontata e semplice ma, se la si guarda con la lente d'ingrandimento, nel mio caso la lente dell'entomologo e dell'ecologo, allora si aprono delle finestre straordinarie».
E che cosa scopri?
«Che la scontatezza non c'è, è solo il nostro modo di guardare il mondo. Ogni cosa ha dentro di sé molte storie ed è l'effetto di milioni di cause».
Il Dna, scrive, trasmette non solo i geni, ma «le storie della vita».
«Il Dna racconta le storie perché noi stessi siamo l'effetto di milioni di cause, solo che non le vediamo. Il Dna ha memoria di tutto il nostro passato e, in un attimo, ci porta indietro al Medioevo, agli antichi Romani, ai primi agricoltori, fino alla prima cellula della vita... Tutti questi miliardi di organismi sono ancora dentro di noi. Il Dna non ha le risposte della vita ma include tutto il nostro passato».
Perché ha scelto di raccontare la natura ai ragazzi?
«La mia avventura è cominciata con I fili invisibili della natura, un libro che ha trovato come editore Lapis e che è andato bene, soprattutto in Germania, dove ha vinto premi prestigiosi. E poi insegno Scienze al liceo scientifico, al Manzoni di Bologna. Anche se dopo il liceo ho avuto molti dubbi: scelgo il Dams oppure seguo la passione per la natura? Ho scelto la natura, e mi sono iscritto ad Agraria».
In un altro libro, Voci della natura. Gli insetti raccontano il mondo (Piemme), descrive una scena di lei bambino che si incanta ad ascoltare gli uccellini fuori dalla finestra... Ha avuto un'infanzia così bucolica?
«Sì, sì, la scena è verissima, e consideri che è successo in piena città, alla periferia di Bologna. Ho sempre amato la natura, camminare, tuffarmi, respirare... Non ho mai avuto l'indole del collezionista, sono sempre stato più ecologo, ho studiato la relazione con l'ambiente più che il singolo insetto».
Sul suo sito scrive: «Sono nato nel 1969 a Bologna e, dopo aver appreso in una lezione universitaria di entomologia che i coleotteri cavernicoli sono criptometaboli, ho deciso che lo studio degli insetti sarebbe stata la mia strada». Mi dice che cosa significa?
«Eh eh... È una frase un po' ironica, però dice una verità: quando ho scoperto il mondo degli insetti, prima con Egidio Mellini e poi con Giorgio Celli, il mio maestro, ho deciso che sarebbe stato la mia vita. Ho fatto la tesi in entomologia con Giorgio Celli, il dottorato negli Usa, sono tornato in Italia, mi sono messo a scrivere ed è andata bene».
Parliamo di Giorgio Celli?
«È stato straordinario. Dal punto di vista personale, perché ho incontrato una persona della mia specie, cioè non un tecnico; dal punto di vista professionale, perché mi ha aiutato a capire che la natura può essere raccontata in mille modi».
Com'era?
«Cultura e simpatia. E poi era un genio. Sento ancora la sua voce che mi dice così va bene, così no...».
Su che cosa ha fatto la tesi?
«Sulla Cydia pomonella, il baco delle mele, e su come si monitora per capire se sia giusto o no intervenire con gli insetticidi. Nella tesi studiavo la relazione fra piante, insetti dannosi e insetti utili nel campo coltivato, le cosiddette relazioni tritrofiche».
Prego?
«Eh... Guido Grandi, che fondò la scuola di entomologia di Bologna, diceva: le persone normali vedono una rosa e un afide, noi entomologi osserviamo un mondo».
Che mondo?
«Gli afidi, i parassitoidi e le coccinelle, che mangiano gli insetti dannosi».
Le coccinelle sono cattivissime.
«Cattivissime è un termine antropocentrico... Diciamo che sono predatori, però quello degli insetti è un mondo molto più antico di quello dei mammiferi e quindi, se un insetto è un predatore, significa che è un superpredatore, molto più specializzato di un leone; quindi le coccinelle sono voracissime, sono perfino cannibali, quando escono dalle uova si mangiano fra loro».
Sembrano così carine.
«Sembrano carine e colorate, ma è perché sono infarcite di veleno; infatti gli uccelli scappano».
Non le mangiano?
«No, e neanche tutti gli insetti colorati. Anche se alcuni fingono, come la farfalla vicerè, che sembra uguale alla monarca, velenosa, ma in realtà è innocua. O certi sirfidi, identici alle api, che sarebbero buonissimi per gli uccelli».
Quante domande le fanno sugli insetti?
«Gli insetti sono circa il 70 per cento degli animali del pianeta, ma c'è qualcosa di ancora più abbondante: le domande sugli insetti. Da quanto vive una farfalla a a che cosa servono le zanzare a a che cosa servono le cimici...»
Rispondiamo. Quanto vive una farfalla?
«Dipende. Ne esistono 18mila specie, normalmente da uno a cinque giorni, ma alcune vivono per mesi, come la monarca, che vola dal Canada al Messico ogni autunno, altre solo poche ore. Comunque la media è di tre giorni».
E come facciamo a saperlo?
«Un entomologo l'ha calcolata».
Passiamo alle zanzare. A che cosa servono?
«Dipende dal contesto».
In città?
«A niente. Sono solo dannose. Nei Paesi nordici come il Canada e l'Alaska sono la fonte proteica principale per gli uccelli migratori, ma qui non le mangia nessuno».
Neanche le rondini? Dicono sempre che abbiamo così tante zanzare perché non ci sono più rondini...
«È falso. Rondini e pipistrelli mangiano le mosche. Il fatto è che la città è perfetta per le zanzare: tanti depositi di acqua per le larve e un serbatoio infinito di sangue, che siamo noi».
E le cimici?
«Sono dannose per l'agricoltura, soprattutto quelle asiatiche che, qui in Italia, non hanno nemici».
Servono a qualcosa?
«Se sono poche».
E se sono tante, come da noi?
«A niente».
Perché le piacciono tanto le api?
«Perché la loro è una società complessissima, al punto che, nonostante abbiano un cervello microscopico, la loro unione consente di fare cose grandiose. Per esempio sono creative, infatti producono il miele, che non esiste in natura, è come la pasta al pomodoro. E il miele lo fanno le api, non l'ape».
Che altro fanno?
«Sono gli unici animali con un linguaggio simbolico, a parte noi: parlano di cose che non sono qui e ora, per esempio dei fiori, o danno indicazioni su una fonte di nettare, albero di acacia a venti metri, e lo fanno stando nel buio profondo dell'alveare».
Come?
«Attraverso una danza a otto, un linguaggio complesso individuato da Karl von Frisch, che poi ha vinto il Nobel».
Lavora nelle aziende. Che cosa c'entrano gli insetti con i manager?
«Mi chiamano per raccontare il mondo della natura. E allora io mostro che la natura parla, e che lo fa in modo chiaro, semplice e diretto. Il fiore è giallo perché ha il nettare e così dice all'ape: vieni. La nostra comunicazione è spesso obliqua, perdiamo tempo e non siamo efficienti, invece la natura è meravigliosamente pragmatica ed efficiente».
Le sue strategie si possono copiare?
«Mettere il gruppo davanti alla persona, come le api, può far raggiungere grandi risultati: come in una squadra, o in una classe. Ho visto classi affiatate che hanno trascinato tutti».
Che cos'hanno di speciale gli insetti?
«Il loro mondo non si vede, uno passeggia e non si accorge di loro, eppure riescono a fare cose incredibili, e mandano avanti il mondo».
Come mandano avanti il mondo?
«Noi respiriamo l'aria o mangiamo le mele, e ci sembra normale, ma è frutto di un processo che è condotto con un gran contributo da parte degli insetti. Gli insetti impollinano le piante, degradano la materia organica e veicolano l'energia del Sole, fissata dalle piante grazie alla fotosintesi e trasformata in energia chimica, attraverso tutto il mondo della vita. Noi stiamo parlando per questo, adesso».
Tutto è connesso?
«Certo, sono i fili invisibili della natura. E non è solo bello, funziona: la connessione ci tiene in vita. Poi possono succedere cose divertenti, come la vicenda delle mucche in Australia».
Che cosa è successo alle mucche?
«A metà dell'Ottocento, gli inglesi portano le mucche in Australia; le mucche mangiano erba, e producono tanto sterco, ma non c'è lo stercorario per processarlo e, così, si accumulano quintali di escrementi. Passano cinquant'anni, e l'Australia è sommersa».
E poi?
«Un entomologo gira il mondo per trovare il coleottero campione assoluto nella sua specialità, cioè quello che vive in simbiosi con l'elefante africano, che produce 50 chili di sterco al giorno. Una bestia feroce. Lo porta in Australia e il Paese torna verde: gli hanno fatto una statua vicino a Melbourne».
All'entomologo?
«Allo scarabeo. La statua è una palla di sterco».
Che altre domande le fanno?
«Dove stanno gli insetti? Risposta: dappertutto, a parte il mare. La cosa più strana che mangiano? Il legno. Solo gli insetti riescono a digerirlo».
È vero che le termiti sono buone da mangiare?
«Squisite, perché mangiano la cellulosa e sanno di nocciola. I Romani amavano le farfalle dei tronchi, che hanno anche un po' odore di capra».
Lei mangia gli insetti?
«Una volta in America mi hanno invitato a una cena e c'erano le cavallette fritte. Una vera schifezza».
Le formiche sono tutte femmine?
«Anche le api. Le formiche sono tutte femmine tranne quelle con le ali, che sono soprattutto maschi; mentre, se sono più grandi, sono le regine. Noi proiettiamo il concetto di maschi e femmine, ma non è così, l'ape da miele e la formica sono come una nostra cellula, sono parte di un organismo più grande che è un superorganismo. E i maschi alati sono gli spermatozoi. Fare proiezioni è un errore».
Non toglie un po' di poesia così?
«No, è molto più poetica la realtà. Anche Jean-Henri Fabre, il padre dell'entomologia, diceva che niente è più bello e incredibile della realtà».
La natura è «maestra»?
«La natura non insegna, non dice niente, e questa è la sua forza liberatrice, il non giudicare».
Il suo insetto preferito?
«L'ape. Così piccola, e sa fare cose così grandi. E il coleottero stercorario, così umile, eppure gli hanno dedicato una statua in Australia, è sui cartelli stradali in Sudafrica e gli antichi Egizi lo veneravano come una divinità».
Gli insetti più strani?
«Per noi, strani... L'ape, che è capace di parlare. Le farfalle vampire, che escono di notte e mangiano il sangue».
Non ci si può fidare neanche delle farfalle.
«Di nessuno. Poi le cicale dei numeri primi, che stanno sempre sotto terra, ed escono solo a certi intervalli, dopo 17 anni, o dopo 13. O i coleotteri cavernicoli, che vivono sempre nelle uova, sempre, e poi escono che sono già adulti, e vivono solo qualche mese».
È vero che quando insegnava ad Haiti ha imparato un rito d'amore?
«Sì, ma non posso rivelarlo, l'ho promesso allo stregone. Mi disse: Nonostante tu sia un bianco, sei una brava persona e mi fece un regalo. È una cosa molto semplice. A un certo punto l'ho provato, ed è iniziato il periodo più bello della mia vita. Poi mi sono sposato e ho smesso col rito, lo scriva».
Però funziona?
«Funziona. La realtà è più complessa di quello che siamo abituati a vedere...».
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