Chissà come «Vallettopoli 1» e il principe Vittorio Emanuele dietro le sbarre verranno archiviati nella storia di questo Paese. Arrestato il 16 giugno scorso con un trucco, «una vigliaccata» racconta in questa intervista. Grazie alle «fughe di notizie» sull'inchiesta di Potenza per settimane, per mesi i giornali ne hanno fatto il protagonista di un intreccio torbido fra tangenti, ricatti e prestazioni sessuali. Non c'è stato Tg che abbia rinunciato all'intervista - via citofono - con la bella di giorno che dicesse di avergli offerto le sue grazie. Poi, qualche settimana fa, puff. Accuse dissolte. A Como il gip (giudice per le indagini preliminari) ha archiviato la sua posizione. Ma a Roma e Potenza restano in piedi due procedimenti nei suoi confronti, anche se il peggio sembra essere ormai alle spalle. Mentre si gode gli ultimi giorni di vacanza a Gstaad, sulle Alpi svizzere, prima di rientrare a Ginevra, il principe non ha perso l'ironia: «A Potenza ora potrebbero dedicarmi una strada...».
Soddisfatto, Altezza?
«Abbiamo ottenuto una prima vittoria che ritengo sostanziale per l'andamento di tutta l'inchiesta. Per la prima volta dopo mesi di aggressioni ho sentito di avere ottenuto giustizia».
Come fu arrestato?
«Mi trovavo in un paesino vicino a Como per consegnare una campana dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Si è avvicinato un tizio in jeans, mi ha mostrato una targhetta: Sono della polizia. Deve seguirci, qui c'è pericolo per la sua sicurezza. Quindi mi hanno caricato in una piccola Punto per un interminabile viaggio. Dodici ore e mille chilometri fino a Potenza. Non sapevo cosa stesse accadendo, non sapevo dove mi stavano portando...».
E lei non chiedeva spiegazioni?
«Certo. Però non mi rispondevano».
Quanto tempo ha trascorso in prigione?
«Una settimana. Ma mi creda, non ricordo praticamente nulla di quelle giornate perché mi hanno imbottito di pillole di ogni genere. Pensi che dopo il mio trasferimento ai domiciliari mi ci sono voluti dieci giorni per tornare ad essere cosciente».
I giornali ironizzarono molto sul «re caduto dal letto a castello» in cella...
«I giornali hanno fatto ben di peggio assalendomi ed attaccandomi in tutti i modi senza prima verificare il fango che mi gettavano addosso. Pensi alla mia famiglia ed ai tanti che ci sono vicini quanto hanno sofferto per quelle pagine».
Dalle indagini di Como non sono emersi fatti penalmente rilevanti ma una condotta moralmente non ineccepibile forse sì, questo dovrà ammetterlo. Con quelle richieste di prestazioni sessuali...
«Possono provarlo? Se vanno a vedere l'impiego delle mie ore, vedranno che non ho avuto tempo di andare né con veline né con cartaveline. Non c'è stato un minuto in cui io non fossi con amici o con mia moglie. La mia condotta semmai è stata leggera nel dare fiducia e credito a persone che si sono poi rivelate poco frequentabili, questa è la cosa che mi rattrista di più».
Ha parlato più volte di «ignobile collage» a proposito delle intercettazioni pubblicate.
«L'esempio più evidente e sul quale molte sono state le speculazioni mediatiche è dato dalla intercettazione avvenuta nella cella del carcere di Potenza il 21 giugno 2006».
Ci spieghi.
«Io non ho mai detto, né avrei mai potuto dire, perché non vero, di aver fregato i giudici francesi, né tanto meno ho mai detto, perché non vero, di avere la responsabilità della morte del povero Dirk Hamer».
Basta leggere il testo di quella intercettazione per capirlo.
«Eppure sono state prese frasi diverse, pronunciate in momenti diversi e sono state messe assieme per dare al mio pensiero un senso che mai ha avuto. Le basta come esempio?».
Qual è stato il momento più angosciante?
«La vigliaccata del mio arresto. Avrebbero potuto convocarmi. E io sarei andato senza problemi a Potenza, con il mio avvocato Francesco Murgia...».
E che cosa le è pesato di più?
«Il pensiero del dolore che hanno dovuto patire la mia famiglia e i tanti italiani che ancora amano Casa Savoia. Devo ringraziare i tanti che mi hanno sostenuto e che hanno avuto fiducia in me».
Che morale ha tratto?
«Per me sono state tutte esperienze. Non mi sono lasciato abbattere. E sono stato ampiamente rimborsato. Ho ricevuto migliaia di lettere da tutta Italia e sono felice che i fatti stiano dimostrando la mia estraneità. Per il resto, quanto è successo non ha cambiato niente nella mia vita. Forse ha cambiato un po' quella di mia moglie, poveretta. Ha trascorso sei mesi agli arresti domiciliari con me, eravamo in tre: io, mia moglie e il cane...».
Perché proprio lei, perché è entrato nel mirino? Alla fine è riuscito a darsi una risposta?
«Perché Casa Savoia viveva un momento di grande popolarità tra la gente. Questo affetto spontaneo era fuori delle previsioni al momento del rientro dall'esilio e credo che abbia fatto paura a qualcuno».
Chi le è stato vicino?
«Mia moglie, mio figlio e mia nuora, tutta la mia famiglia, tanti amici e tutto lo staff di lavoro. In molti si sono allontanati ma altrettanti, anche inaspettatamente, si sono rivelati veri amici e sostenitori. Li ringrazio tutti».
Pubblicamente nel consueto incontro con gli Ordini cavallereschi a Ginevra ha ringraziato in modo particolare suo figlio e sua moglie Marina. Era una «frase fatta»: deve farsi perdonare?
«Assolutamente no. Mia moglie non mi ha abbandonato un solo giorno. Ha lasciato casa pensando di rientrare presto ed è invece rimasta in Italia per sei mesi. Se questo non è amore! Mio figlio si è occupato della gestione della Cancelleria e ha portato avanti le cose con fermezza, rivelandosi un ottimo sostegno. Grazie a loro abbiamo potuto proseguire nei nostri progetti di solidarietà con gli Ordini cavallereschi evitando il blocco di ciò che funziona da molti secoli».
Ci racconti come trascorre, ora, le sue giornate.
«Come sempre. Leggo tutti i quotidiani, approfondisco ciò che mi interessa maggiormente. Poi vado nei nostri uffici per seguire le tante attività degli Ordini e della Casa Reale.
Si faccia un augurio.
«A Potenza ho dato molto. Ora potrebbero dedicarmi una via. Anche senza il principe: magari la strada che porta al carcere...».
pierangelo.maurizio@alice.it
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