Colpita di rimbalzo nello scontro furibondo in corso all’interno della Procura di Milano, adesso sotto accusa rischia di finirci lei: Ilda Boccassini, il nome più noto della procura milanese, la protagonista di vent’anni di inchieste sulla mafia e su Silvio Berlusconi. Dopo che i due contendenti principali - il procuratore Edmondo Bruti Liberati e il procuratore aggiunto Alfredo Robledo, capo del pool anticorruzione - sono usciti con un sostanziale pareggio dall’inchiesta interna del Consiglio superiore della magistratura, a sorpresa il Csm, prendendo spunto dalle tante carte accumulate durante le indagini sul «caso Milano», candida all’impeachement la Boccassini. Che nello scontro finora si era schierata senza esitazioni al fianco di Bruti, ma aveva cercato in ogni modo di restare fuori dalla ribalta. Anche perchè, se Bruti alla fine dovesse perdere il posto, proprio lei sarebbe tra i candidati più autorevoli a prendere il posto di procuratore capo.
Invece oggi da Palazzo dei Marescialli, sede del Csm, trapela la notizia che la prima commissione del consiglio superiore ha trasmesso gli atti a carico di Ilda ai titolari dell’azione disciplinare, ovvero il ministro della giustizia e il procuratore generale della Cassazione. L’accusa: come capo del pool antimafia di Milano, sarebbe venuta meno ai suoi doveri, rifiutando di mettere in comune i risultati delle indagini sul crimine organizzato sia con i pm della sua squadra che con la Direzione nazionale antimafia.
E questo della collegialità, dello scambio di notizie sia a livello locale che a livello centrale, è uno dei principi ispiratori dei dipartimenti antimafia. Il problema è, come è noto, che la Boccassini tende a non fidarsi. O, meglio, si fida solo di alcuni magistrati e di alcuni investigatori. Condividere con gli altri i risultati delle indagini vuol dire, per lei, mettere a rischio la sicurezza delle inchieste. Così i fascicoli più delicati li assegna solo ad alcuni sostituti, e le deleghe investigative sempre agli stessi poliziotti. É una realtà che a Milano conoscono tutti, e che ha portato in un passato recente più di un pm della «vecchia guardia» ad abbandonare il pool antimafia. Il problema è che lo stesso atteggiamento la Boccassini lo ha tenuto con Filippo Spiezia, il pm della Direzione nazionale antimafia che fino a poco tempo fa era incaricato di tenere i rapporti con la procura milanese. Spiezia ha avuto la colpa di mettere nero su bianco, nel rapporto annuale della Dna, le sue accuse alla Boccassini. Apriti cielo. La reazione della Boccassini (e anche di Bruti Liberati) è stata tale che il povero Spiezia ha preferito chiedere di essere destinato ad altro incarico, richiesta prontamente accolta. E ora a tenere i rapporti con Milano è per conto della Dna Anna Canepa, leader di Magistratura democratica, e in ottimi rapporti con Ilda. Il capo della Dna, Franco Roberti, ha cercato di disinnescare il caso.
Ma Spiezia, quando è stato convocato dal Csm nell’ambito delle audizioni sul caso Milano, ha ribadito per filo e per segno la descrizione del clima nel pool Boccassini. E la prima commissione ha ritenuto di non poter fare finta di niente. Così gli atti sono partiti per la Cassazione.
E rischiano di condizionare non solo le eventuali aspirazioni della Boccassini al vertice della Procura milanese, ma anche la sua riconferma alla guida del pool antimafia. Anche perchè (e anche questo è finito nelle carte del Csm) è accusata di avere selezionato i pm sulla base delle sue preferenze e non dell’anzianità e dei titoli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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