"Legittimamente lo Stato ha scelto di approvare una legge generale in materia di autonomia differenziata": così la Corte Costituzionale, nella sentenza depositata oggi, riconosce che il governo Meloni aveva il diritto di emanare la legge che traduceva in pratica l'autonomia sancita dalla Costituzione, e che una delle Regioni che la avevano impugnata chiedeva che fosse cancellata per intero. La Puglia, governata dal dem Michele Emiliano, sosteneva che il Parlamento non poteva emanare una legge sulla stessa materia su cui era intervenuta la modifica costituzionale introdotta nel 2001, che aveva aperto la porta al passaggio di poteri dallo Stato centrale alle Regioni. "Il fatto che una norma costituzionale non rinvii a una legge non impedisce al legislatore statale di dettare norme attuative", si legge invece nella sentenza della Consulta, il cui testo viene reso noto oggi, ma era stato anticipato con un ampio comunicato il 15 novembre, a meno di quarantott'ore dall'udienza pubblica.
La lettura integrale del testo, firmato dal presidente della Corte Augusto Barbera come ultimo atto prima del pensionamento, conferma che la legge esce però malconcia dall'esame della Consulta. Se svanisce il timore che l'intera "legge Calderoli" venisse asfaltata, una lunga serie di articoli messi in discussione dal ricorso delle regioni rosse (insieme alla Puglia c'erano Sardegna, Toscana e Campania) vengono dichiarati illegittimi e decadono con effetto immediato. Numerosi altri articoli, anch'essi impugnati dalle Regioni, invece superano l'esame: il risultato finale parla di 13 articoli abrogati e di 25 dichiarati invece legittimi. Ma i pezzi che vengono a mancare alla riforma voluta dal centrodestra (e soprattutto dalla Lega) costringeranno il Parlamento a intervenire con modifiche che la Corte si riserva il diritto di vagliare in futuro. E su un punto i giudici costituzionali sono netti: il passaggio di poteri alle Regioni può riguardare solo singole funzioni e non intere materie.
A guidare la sua decisione la Corte spiega di essere arrivata in base ad un principio fondamentale: "Il popolo e la nazione sono unità non frammentabili. Esiste una sola nazione così come vi è solamente un popolo italiano, senza che siano in alcun modo configurabili dei “popoli regionali” che siano titolari di una porzione di sovranità". È vero, riconoscono i giudici, che "qualsiasi sistema regionale ha in sé degli elementi di competizione tra le regioni, perché dà modo a ciascuna di esse, nell’ambito delle attribuzioni costituzionali, di seguire politiche differenti nella ricerca dei migliori risultati. Tuttavia, l’ineliminabile concorrenza e differenza tra regioni e territori, che può anche giovare a innalzare la qualità delle prestazioni pubbliche, non potrà spingersi fino a minare la solidarietà tra lo Stato e le regioni e tra regioni, l’unità giuridica ed economica della Repubblica".
È il concetto di "solidarietà", secondo la sentenza, a venire messo in discussione dalla "legge Calderoli", nonostante la previsione di un sistema di Lep, livelli minimi di prestazioni garantiti su tutto il territorio nazionale. Per questo tutti gli accordi che le Regioni potranno stipulare con il governo centrale per ottenere il trasferimento di funzioni verranno sottoposti a controllo.
E il controllo, preannuncia la sentenza, sarà ancora più stretto su alcune materia che la Costituzione prevede che possano passare alle Regioni, ma su cui la Corte dissente: commercio estero, ambiente, produzione e trasporto di energia, reti di trasporto e navigazione, professioni, comunicazione. Il "giardino" dell'autonomia differenziata ne esce, come si vede, piuttosto ristretto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.