Perché l'Ingegnere ha bisogno di ministri

Fra aziende in difficoltà e guai giudiziari e tributari, spera nell'attenzione del governo

Palazzo Chigi (Wikipedia)
Palazzo Chigi (Wikipedia)

Le pressioni di Carlo De Benedetti per ottenere qualche ministero amico nel prossimo governo Renzi sono presunte. C'è chi, come Fabrizio Barca, le accredita (anche se in circostanze bizzarre); e chi come lo stesso Ingegnere nega tutto. Ma al di là di chi ha torto e chi ragione, è difficile ed ingenuo pensare che un capitano d'industria come De Benedetti - aderente della prima ora al Partito democratico, presidente del gruppo Espresso da cui dipende il più rilevante organo di stampa della sinistra del Paese, portatore dei vari interessi industriali del gruppo Cofide-Cir (ancorché da padre nobile, avendo donato le quote ai figli) - si disinteressi del tutto alla formazione di questo esecutivo. Anche perché non si tratta di semplici interessi, ma di vere e proprie magagne o progetti dall'esito incerto. Parliamo di attività che spaziano dall'energia, all'editoria, alle telecomunicazioni, con un sovrappiù di almeno un paio di questioni giudiziarie. Un ministro dell'Economia sensibilizzato va da sé che sarebbe meglio che niente; lo stesso vale per lo Sviluppo economico, da cui dipendono l'energia e le tlc (anche attraverso sottosegretari ad hoc, dipende appunto dalla composizione che nascerà); completa il quadro il Guardasigilli, essendoci un paio di questioni giudiziarie in sospeso.

Energia significa Sorgenia, il gruppo elettrico che ha appena dichiarato di avere un mese di cassa di vita: se per fine marzo le banche non trovano un'intesa sulla moratoria dell'ingestibile debito da 1,8-2 miliardi, salta tutto. Non a caso, come ha rivelato ieri il Giornale, è allo studio di politica, industria e banche un salvataggio di sistema delle contrali termoelettriche, attraverso la creazione di una sorta di Bad Bank dell'energia. Un progetto che può avanzare solo con l'appoggio del governo.

Nel campo delle tlc, il gruppo Espresso è alle prese con la fusione delle sue due frequenze digitali con le tre di TiMedia. Un'operazione già in cantiere, che si sovrappone all'asta delle frequenze e che, a seconda di come si svilupperà, potrà avere più o meno valore. Nello stesso tempo un ministro amico nelle tlc potrebbe riaprire il tema dell'affollamento pubblicitario televisivo, da ridurre (danneggiando Mediaset e Rai) per favorire la carta stampata in crisi (tra cui Repubblica ed Espresso). Su questo fronte pende poi la trattativa tra azienda e sindacato sullo stato di crisi (e sull'accesso ai fondi pubblici ad hoc) per i 58 prepensionamenti chiesti a Repubblica che hanno spaccato la redazione in uno scontro senza precedenti.

C'è poi il capitolo giudiziario. Dove sono almeno due le situazioni critiche per società collegate o controllate dal gruppo Cir. La prima è la vicenda della ex Genco Tirreno Power, di cui Sorgenia ha il 39%, che oltre ad avere a sua volta un debito critico di 800 milioni è finita nei guai per l'indagine sulla centrale di Vado Ligure per possibile «disastro ambientale». Secondo la Procura di Savona «dal 2000 al 2007 sarebbero da attribuire alle emissioni della centrale 400 morti».

La seconda questione è civile, e di soli quattrini. Ma non pochi: pende sul gruppo Espresso un rischio da 225 milioni (più della metà dei 490 versati nel 2013 dalla Finivest alla Cir per il Lodo Mondadori).

Si tratta di una condanna del 2012 per imposte non pagate nel 1991, procedimento pendente in Cassazione. Secondo un recente report di Mediobanca, la sentenza minaccia le finanze dell'Espresso e potrebbe pesare fino al 10% sulle quotazioni del titolo in Borsa.

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