"Berlusconi parlava alle classi popolari, la sinistra voleva cambiarle"

Il sondaggista Lorenzo Pregliasco spiega che il lutto nazionale per Silvio Berlusconi è anche il riconoscimento di una comunità politica che lo ha votato e che la sinistra guardava con snobbismo

"Berlusconi parlava alle classi popolari, la sinistra voleva cambiarle"

"A sinistra non è stato capito il fatto che potesse esserci un’Italia, a tratti maggioritaria, che si è riconosciuta in Berlusconi e che ha scelto il centrodestra”. Il sondaggista Lorenzo Pregliasco, fondatore di YouTrend e autore del libro "Il Paese che siamo" edito da Mondadori, spiega così il fastidio di alcuni settori dell'opposizione che hanno espresso la propria contrarietà per la scelta di indire il lutto nazionale in occasione dei funerali di Silvio Berlusconi.

Questo livore della sinistra nei confronti di Silvio Berlusconi nasce dal fatto che la sinistra non ha mai accettato che il Cavaliere potesse essere così amato e votato dagli italiani?

“Berlusconi non ha sempre vinto le elezioni, ma sin dal 1994 ha comunque rappresentato un ostacolo per il raggiungimento del governo da parte della sinistra. Berlusconi, però, è stato anche poco capito, è stato visto come un marziano che stravolgeva i canoni della comunicazione e del linguaggio. Non sono stati capiti neppure i suoi elettori che non erano sempre elettori di destra, ma spesso moderati che venivano dal Psi o dalla Dc".

Perché?

“Vede, Berlusconi, come diceva giustamente Cazzullo ieri, a differenza di molti leader, non ha mai cercato di cambiare gli italiani. A lui piacevano così per come erano. A sinistra, invece, molti pensavano di 'raddrizzare' gli italiani, più che prendere atto che, per una serie di motivi, c’erano milioni di persone che non si riconoscevano nella proposta politica del centrosinistra”.

C’è, quindi, stata una sorta di superiorità morale della sinistra che liquidava Berlusconi come il tycoon che veniva votato solo dalle famose ‘casalinghe di Voghera’ che guardavano le telenovelas di Retequattro?

“Sì, c’è stata una lettura superficiale del perché Berlusconi è stato votato da così tante persone, quasi come se una modesta classe sociale o un basso livello di istruzione fossero un disvalore. Considerare come nota di demerito il fatto che Berlusconi abbia saputo parlare a settori dell’elettorato popolare è stato un grande errore da parte della sinistra anche perché dovrebbe essere lei, in primis, a riuscire a parlare a un elettorato popolare. Un elettorato composto da persone tra loro diverse: chi ha un piccolo negozio, casalinghe, pensionati che pur avendo la terza media, hanno lavorato per un’intera vita. Tutte persone che vedevano in Berlusconi il successo imprenditoriale, la capacità di empatizzare con loro e una visione dell’Italia in cui si riconoscevano. A sinistra si sono trascurate queste fasce di elettorato che negli ultimi anni si sono ulteriormente allontanate, anche nella classe operaia. Troppi non sono riusciti ad accettare che esistesse quell’Italia, come se fosse un pezzo di Paese moralmente inferiore, non degno di contare. Una diffidenza antropologica verso un pezzo d’Italia che, poi, è simile a quel che nel 2016 è stato imputato a Hillary Clinton quando definì gli elettori di Trump dei poveri disperati, 'a basket of deplorables'. C’era la percezione di una superiorità etica rispetto agli elettori dell’avversario”.

Ma il fatto che la sinistra non sappia più parlare alle fasce popolari non è anche un grande demerito della sinistra?

“La base elettorale di Berlusconi ha avuto tante fasi e sarebbe sbagliato dire che le fasce popolari siano andate in massa a votare Forza Italia, però lui ha saputo parlare anche a un pezzo di Italia popolare. Storicamente la sinistra, per esempio il Pci, era molto attenta alle masse e a non escludere nessuno per 'snobismo'. Il Partito comunista aveva fatto sua la missione di essere un grande partito di massa. Missione che, con l’avvento della Seconda Repubblica, la sinistra ha un po’ perso. Ma, oltre alle classi popolari, c’è tutto il settore del lavoro autonomo che per molto tempo è stato visto con sospetto. Si diceva “gli artigiani e i commercianti che votano Berlusconi sono evasori, disonesti, menefreghisti”, ma magari non era così e lo votavano perché percepivano la pressione fiscale e la burocrazia più di un insegnante o di un dirigente pubblico. La sinistra ha avuto un atteggiamento troppo ostile anche verso quel mondo. Non ne farei solo una questione di alto/basso, ma di pretesa pedagogica. La sinistra, troppo spesso, si è posta come la classe politica che voleva 'correggere' gli italiani, insegnare loro come vivere. La vittoria di Berlusconi del 1994 era anche la risposta di un'Italia silenziosa a quella che veniva percepita come pretesa paternalistica”.

Non è, quindi, uno scandalo aver concesso il lutto nazionale a Berlusconi?

“Non voglio dare la mia opinione personale, ci sono motivi legittimi per considerarlo discutibile. Però posso dire che è una scelta politica, il riconoscimento al fatto che quella di Berlusconi è stata una figura politica diversa da altre perché ha avuto un notevole impatto sulle istituzioni, sull’economia e sulla cultura popolare. Riconoscere il lutto, poi, significa riconoscere il dolore di una comunità politica e di quella parte di Paese che, negli ultimi 30 anni, che ci piaccia o meno, ha voluto bene a Berlusconi. Anche chi non lo ha amato e votato può non scandalizzarsi nel momento in cui si decide di riconoscere il lutto di una comunità politica”.

Si diceva che il successo elettorale di Berlusconi dipendesse anche dal suo impero mediatico con cui ha plasmato il costume degli italiani. Ma anche questo non è in qualche modo sminuire l’elettorato medio italiano?

“Indubbiamente è stato un’anomalia avere in politica un imprenditore televisivo di quella portata, senza che ci fosse una separazione chiara tra i due ambiti. Però dire che le televisioni siano state il principale motivo per cui Berlusconi è stato votato è tutt’altra cosa.

È una visione un po’ semplicistica e non rende giustizia agli elettori: è vero che le televisioni influenzano l’opinione pubblica, ma l’offerta televisiva è molto ampia e plurale, ci sono stati programmi vicini alla sinistra e altri vicini alla destra, e non si può pensare che la televisione da sola abbia determinato le fortune elettorali del centrodestra. La verità è che molte persone non avrebbero comunque votato la sinistra: non è un caso se per il nostro Paese per cinquant’anni hanno governato gli altri”.

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