Forse basterebbe Brescia per spiegare l'Italia che cambia, forse basterebbe Balotelli per spiegare Brescia che cambia: multietnica, multicolore, con una inflessione da gnaro inconfondibile, a denominazione di origine controllata.
La capitale della nazione che sarà, domani o dopodomani, sta a cento chilometri da Milano, nel cuore dell'economia pedemontana. Qui, più che altrove, si sperimenta il cambiamento, con i suoi innegabili vantaggi e i suoi inevitabili effetti collaterali. Brescia è da sempre una terra da Pil pesante, ai livelli della meglio Europa. La crisi sta soffiando anche sugli allevamenti intensivi della pianura e sulle storiche fabbriche delle valli, ma al netto della crisi questa resta una provincia di lavoro e di benessere. La fama di Brescia e la fame delle genti immigrate: come due poli opposti, si sono attirati e hanno prodotto il risultato messo a fuoco dal censimento. Tra i grandi comuni d'Italia, Brescia è quello con il più alto tasso d'immigrazione: su mille abitanti, gli stranieri residenti sono 166,1. Non siamo al picco nazionale di Rocca de' Giorgi, piccola realtà del Pavese, che ha il 36,7, ma nel settore delle città storiche e strategiche è il valore comunque più significativo.
Puntare uno zoom su Brescia significa così osservare una miniatura, come un plastico alla Vespa, fedele fino ai minimi dettagli, dell'intero Paese, se non proprio quello di adesso, certamente quello che sarà quanto prima. Brescia è il luogo dove i primi immigrati, arrivati più o meno vent'anni fa, oggi sono in tantissimi casi imprenditori affermati, capaci all'inizio di imparare, quindi di rischiare con coraggio e fantasia in proprio, spinti dalla grande voglia di riscatto e di affermazione che purtroppo a molti di noi autoctoni impigriti e sazi comincia a difettare. Gli immigrati sono mungitori negli allevamenti bovini, sono operai nelle fonderie, sono lavapiatti nei locali, ma sono anche presidenti di coooperative, artigiani e padroncini, concorrendo ormai in modo sensibile all'invidiato Pil locale.
Purtroppo, la velocità del cambiamento provoca anche pesanti crisi di assestamento. Le differenze di cultura e di mentalità non si superano nell'arco di una sola generazione. Brescia ha fatto i conti con la diffidenza di tanti bresciani e con la chiusura di tanti stranieri. Così, mentre il tempo lavorava con i suoi modi da fiume carsico, sottotraccia, dentro l'animo degli individui, per corrodere le reciproche differenze, non sono mancate le grandi cronache. Nel bene e nel male. Cronaca bianca e cronaca nera. Buone notizie e notizie tremende.
Mario Balotelli segna chiaramente in senso positivo questa storia complessa, ragazzino accolto dalla famiglia bresciana e poi dall'intera comunità, fino alla gloria assoluta della maglia azzurra, e lasciamo perdere per una volta l'extrasportivo. Se non è la più luminosa, questa parabola è sicuramente la più famosa e la più popolare, metafora semplice e perciò perfetta di una città capace di crescere e di cambiare.
Il punto più basso, per noi così difficile da capire, è invece il pietoso destino di Hina Salem, la ragazza pakistana uccisa dalla famiglia e poi macabramente sepolta in giardino, per la sola colpa di inseguire il suo amore occidentale.
Le chiamiamo contraddizioni, sono i punti di frizione tra mondi che si guardano, si annusano, si studiano e poi finalmente si concedono e si completano, salvo i casi destinati all'incomprensione perenne.
Il tempo, però, lavora. Anche nei casi più insolubili.
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