
Caro Roberto Vecchioni, poche ore fa, davanti a decine di migliaia di persone, lei ha parlato di cultura e di Europa, chiarendo come la prima sia esclusivamente appannaggio della seconda. Ha usato queste testuali e disgraziate parole: «la cultura è nostra», cioè degli europei, lasciando intendere che tutti gli altri americani, russi, orientali, africani siano non si sa bene cosa, bifolchi probabilmente, creature da guardare dall'alto in basso, barbari rimasti tali, mediocri e ignoranti: perché, appunto, «la cultura è nostra».
Caro Roberto Vecchioni, da almeno vent'anni la società fa uno sforzo immane per arginare questa visione rovinosa, figlia del peggior razzismo coloniale, erede di un passato suprematista che sappiamo quali danni ha prodotto. Nella politica, nel lavoro, nelle associazioni, nelle scuole e nelle università (ripeto, con uno sforzo immane) si sta sovvertendo quest'orizzonte, ovvero quest'istinto a primeggiare, quest'eterna, aberrante e quanto mai tossica tentazione dell'eurocentrismo.
Caro Roberto Vecchioni, nell'82 Tzvetan Todorov pubblicò un libro: La conquista dell'America. Il problema dell'«altro». «Quando Colombo» così dice, «all'alba del 12 ottobre 1492, incontrò i primi indigeni nella piccola isola dei Caraibi da lui battezzata San Salvador questo avvenne: l'uomo incontrò sé stesso e non si riconobbe. È qui, in questo fallimento, il senso di quell'evento grandioso e tragico».
Colombo quindi, il civile, l'acculturato, il superiore, Colombo l'europeo vide un suo simile e lo ridusse a schiavo, subito lo trattò da inferiore, aprendo di fatto la strada al più feroce genocidio della storia, una mattanza di quasi cento milioni di morti, che dolorosamente riposano sul medesimo assunto: l'Europa è migliore.
Caro Roberto Vecchioni, io immagino il mio continente come un luogo d'interazione alla pari, un campo dove non si gioca a chi è più grande e importante dell'altro, una terra che guarda alle altre terre con gli occhi della fratellanza, con curiosità, rispetto e coraggio.
Caro Roberto Vecchioni, per definizione la cultura non ha perimetri, non vuole padroni, non è fatta di guinzagli. La cultura è la libertà per antonomasia. Di più: la cultura è cultura proprio per la sua disponibilità intrinseca ad espandersi, a diventare contagio, a essere ovunque: la democrazia è nata in Grecia, è vero, ma ciò non significa che un greco possa affermare che la democrazia è roba sua e di nessun altro.
Caro Roberto Vecchioni, esistono le tradizioni e le personalità che fanno spiccare un Paese in un certo modo; esistono volti, pratiche e costumi che lo caratterizzano e lo fanno brillare, rendendolo immediatamente riconoscibile, ma non dominante, non preferibile.
Caro Roberto Vecchioni, distinguere è cosa giusta, anzi santa,
dividere invece non lo è. Dividere è il peggio che mi augurerei per questa Europa come per il resto del mondo, è la strada sicura per la guerra, che lei chiama orwellianamente pace. A questo, dunque, serve la «nostra cultura»?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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