Caso Sallusti, giallo sulla notifica "persa" nel rimpallo Roma-Milano

La Cassazione conferma: documento spedito il primo ottobre. Ma il direttore, dopo 20 giorni, non ha ancora ricevuto nulla

Caso Sallusti, giallo sulla notifica "persa" nel rimpallo Roma-Milano

Roma Nel tempo delle email o, almeno, dei fax la sorte di Alessandro Sallusti è affidata alle Poste italiane. E non si capisce bene se e quando è arrivata a destinazione la lettera con la quale la Cassazione comunica alla Procura di Milano la condanna del 26 settembre a 14 mesi di detenzione del direttore de Il Giornale, perché possa metterla in esecuzione dopo una sospensione automatica di 30 giorni per consentire all'interessato di chiedere le misure alternative al carcere.
Mentre Sallusti rimane “tra color che sono sospesi", si assiste ad un rimpallo di responsabilità tra Roma e Milano. I pm milanesi non hanno chiarito i tempi per la notifica al condannato dell'atto. E ieri dal Palazzaccio della capitale è arrivata una secca precisazione: nessun ritardo dalla Cassazione, i Supremi giudici della Quinta sezione penale hanno fatto tutto il loro dovere entro i cinque giorni previsti. Quanto tempo ci vorrà perché Sallusti sia informato dei suoi diritti è inutile chiederselo. Ma il dettaglio non è da poco: solo quando riceverà la comunicazione, scatterà il mese di limbo per riflettere su affidamento in prova ai servizi sociali, detenzione domiciliare, semilibertà o semplice cella del penitenziario. Il condannato per omesso controllo sull'articolo di Renato Farina, pubblicato sotto pseudonimo da Libero, in realtà ha già detto più volte che in prigione lui ci vuole andare. Ma formalmente è tutto bloccato.
La Cassazione spiega di aver trasmesso l'«estratto esecutivo» all'ufficio postale il 28 settembre, che l'ha spedito il primo ottobre alla Procura milanese.
Insomma, a detta della Cassazione il documento dovrebbe essere nelle mani dei pm. Tuttavia negli uffici della procura milanese si sostiene che il plico non sia ancora arrivato. L'impressione, inoltre, è che la pratica non sia in cima ai pensieri dei magistrati. D'altronde mettere un giornalista in galera è sempre cosa scomoda.

Soprattutto, mentre il parlamento discute una nuova legge per cancellare la pena detentiva legata al reato di diffamazione e rimodulare quelle pecuniarie ed eventualmente disciplinari. Non che i politici abbiano più fretta dei magistrati. La corsa iniziata in Senato, dove tutto doveva concludersi in Commissione giustizia con la sede deliberante, si è arenata clamorosamente. Si andrà in aula forse martedì prossimo, grazie alla richiesta di 6 senatori Pd-Idv-Api, sempre che il testo che doveva uscire ieri dalla Commissione e invece sarà esaminato oggi, non trovi nuovi intoppi lungo la strada. La Camera, per ora, ha calendarizzato il ddl in aula il 29-30 ottobre. Con tutta calma. La parola d'ordine sembra: avanti, piano.
Tra i politici, intanto, siamo passati dalla fase del coro di solidarietà a quella degli insulti. «Sallusti? Un pregiudicato che lavora per Berlusconi. Su questa vicenda della condanna ci marcia un pò, ma spero non vada in carcere solo perché mi deve dei soldi per una causa in tribunale. Ha fatto di tutto per far applicare una legge che difficilmente viene applicata», è il misurato commento via radio del vicepresidente di Futuro e Libertà, Italo Bocchino.
In Senato, le parti si scontrano sui ritardi e in questo clima i relatori Filippo Berselli (Pdl) e Silvia Della Monica (Pd) preparano un nuovo emendamento, cercando di mettere tutti d'accordo.

Tengonofuori le controverse norme sui siti internet, correggono quella sul «dossieraggio» con la previsione dell'aggravante per i casi di «diffamazione organizzata». Tutto, in attesa di altri sub-emendamenti,che potrebbero far saltare anche l'ultimo termine per il voto: alle 14.30 di oggi. Ormai, nessuno più si azzarda a fare previsioni.

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