Civati ribelle da talk show: resto nel Pd

Il capo dei dissidenti rientra nei ranghi e annuncia che sosterrà il governo. E Bersani: votare "sì", altrimenti siamo finiti

Civati ribelle da talk show: resto nel Pd

Roma - No, non è da qui che verranno problemi al Renzi Primo. Non da Pippo, perché Pippo-Pippo ancora non lo sa. Non sarà Civati Giuseppe detto «il Vorreimanonposso» a prendere in mano bandiera, onore e sorti della sinistra. «Le insidie peggiori ora arrivano dal tranquillissimo Letta - cambia schema il placido leader monzese - se lui si sente così a disagio è un problema personale, ma anche politico». Letta, però, non è né capopopolo né tipo da scissione e difatti nega. Alla fine dell'annunciato periodo sabbatico, subito dopo il voto di fiducia al governo, sparirà per trovare il modo di digerir rospi.
Non così Civati, ultimo dei mohicani restio a danzare con il lupo fiorentino, dopo che Cuperlo prima l'ha spinto a Palazzo Chigi e ora, dice Pippo, «sbaglia a dire che dovrebbe lasciare la segreteria». Civati è di altra pasta: anche lui della bit generation come Matteo, con il quale aveva fatto la prima Leopolda. Ma oggi tutto si mescola nel frullatore per miscele inattese, melasse gelatinose molto al passo con i tempi. Dunque: «Un Pd così è complicato da reggere» e «se usciamo noi si svuota». Parole roboanti che fanno sperare. Ma il dubbio principale che Civati pone ai suoi Mille (non uno dei quali in camicia rossa) convocati a Bologna, viene declinato senza finzioni in tutta la sua contorsione morettiana: «Se dovessi ascoltare l'assemblea dovrei votare la sfiducia. Ma è chiaro che se non si vota la fiducia si esce dal Pd. Si nota di più se rimaniamo nel Pd, anche se non è popolare... Però noi non siamo popolari».
Verità come oro colato. Il problema della sinistra civatiana (e non solo) è esattamente centrato: non è più popolare. Afflitta dai dubbi, priva di salde matrici socialiste, piuttosto prodotto di un'era antiberlusconiana, è ridotta ad avere un unico orgoglio da esibire: la bandiera dell'Ulivo prodiano (cosa che Civati per l'appunto fa). Altro che socialismo o (orrore!) comunisti mangiabambini. I trenta-quarantenni che affollano le Scuderie bolognesi («siamo più che alla prima Leopolda», gongola Pippo) miscelano politichese con strategie di giornata. Così Civati lamenta di non sentire Matteo da quindici giorni e di non aver ricevuto neppure una telefonata per essere avvisato in anticipo della proposta ministeriale all'amica Lanzetta (e che diavolo, non si fa!). Però attacca il premier furiosamente per aver trascinato il Pd in uno «schema di centrodestra». E, mentre Alfano è soddisfatto e «noi facciamo esperimenti alla dottor Frankenstein, Grillo può vincere le elezioni». Il disagio, iperbolicamente e naturalmente, è «clamoroso».
Segue la conclusione logico-razionale (?), che magari cerca di non dispiacere al monito arrivato di buon mattino da Bersani («La fiducia si vota, altrimenti finisce il Pd»). E così Pippo: «Non vogliamo indebolire Renzi, non vogliamo far cadere il governo, scissione mai. Restiamo dentro e prepariamo il dopo Renzi. Proveremo ad aprire il Pd, a dialogare con Sel e la lista Tsipras. Però il ricatto che Matteo ci ha fatto non è giusto...».
Un bimbo non avrebbe detto meglio. Nascerà un «nuovo centrosinistra fuori dalle etichette», forse con gruppo al Senato (i sette di Sel più tre-quattro civatiani), poggiato su un'innovativa formula di voto al governo.

«Sarà un sì sfiduciato - spiega - ma al Pd, non a Renzi». Un «sì» che, personalmente, Pippo alla Camera non sa ancora se dare, in quanto «mamma non ha rinnovato la tessera del Pd e la mia compagna vota Sel». Per favore, ridateci Baffone. Subito.

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