il commento 2 È vera redenzione o solo talk-show?

diQuando ammazzò a padellate la mamma Rosa e il papà Antonio non aveva ancora vent'anni, a luglio ne compirà quarantadue e festeggerà da uomo libero. Lunedì uscirà lui di galera, martedì uscirà pure il suo libro: settimana piena, settimana felice per l'uomo Pietro Maso, tutta un'altra persona rispetto al giovanissimo e spietato omicida dell'altra vita, della prima, bruciata in farneticazioni da superbulletto di estrema provincia. Giusto così? È giusto che la condanna a trent'anni, ridotta a ventidue per indulto e buona condotta, restituisca alla società il più crudele degli assassini, capace di giustiziare padre e madre senza tanti problemi? Non s'era detto, all'epoca, che in questi casi bisogna buttare via la chiave? Sono di volta in volta la sensibilità, il senso di giustizia, il senso religioso di ciascuno a dare risposte. La questione è eterna: bisogna chiarire se il carcere sia un luogo di protezione per la società o un luogo di espiazione e recupero per il criminale. La letteratura è piena di pagine simboliche: come dimenticare le migliori del genere, quel Delitto e castigo che segue passo passo la caduta all'inferno e la lentissima resurrezione del giovane Raskolnikov. Di Pietro Maso s'era già letto nel toccante libro Fratello Lupo, di Fabio Finazzi, con il frate francescano Giuseppe Prioli a raccontare la sua vita in mezzo ai peggiori mostri delle nostre galere. Tra questi, il ragazzo veneto che aveva trucidato i genitori, il capobranco esaltato che poi si era presentato al processo con aria strafottente, il ragazzo che in carcere faticava ad accettare qualsiasi aiuto. In seguito, però, il faticoso processo di raffinazione umana - la belva crudele che passa gli stadi del pentimento, dell'espiazione, fino alla redenzione - è sembrato concludersi nel modo migliore. L'uomo che esce di galera, l'uomo che esce dal libro, è certamente un Maso diverso. Fidarsi? Il problema, tutto sommato, è più suo. La collettività, attraverso la propria giustizia, ha accettato di metterci una pietra sopra e di affidargli una seconda possibilità. La questione è chiusa, per noi. Per Pietro, non può essere così. Non sarà mai così. Non ci metterà mai una pietra sopra. Quella scena del crimine, la scena iniziale del libro, sovrasterà continuamente le sue giornate: «Vado in bagno. Fisso le macchie sul dorso delle mani. È sangue. È il sangue di mio padre. È il sangue di mia madre. Lo vedo allargarsi sulla pelle, dappertutto. Schiaccio sul dosatore del sapone. Schiaccio, ne voglio tanto. Devo lavarmi bene. Lavo e lavo e lavo ancora. Non so quanto dura: attimi, minuti, mesi, anni…». Dura ancora oggi, durerà sempre. Quelle macchie sono indelebili, non esiste sapone per rimuoverle. Ma un libro può essere un buon modo per vuotare un po' di scorie e proseguire in modo diverso. Qualcuno certo gli rinfaccerà di trasformare subito una colpa atroce in una volgare mercificazione. Una nuova condanna.

Anche questo però è un peso inevitabile, che il secondo Maso, l'altro Maso, il nuovo Maso deve scrollarsi di dosso con impegno personale. Appena libero, dovrà subito scegliere: essere testimone di sincera redenzione o testimonial da squallido talk-show.

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