Nel giorno del suo trionfo, quello in cui dopo un inseguimento durato vent'anni Silvio Berlusconi inizia ad espiare la sua pena, la Procura della Repubblica di Milano si trova ad avere poco da festeggiare. Perché per una bizzarra coincidenza di tempi, proprio mentre il tribunale di Sorveglianza milanese emette l'ordinanza che spedisce il Cavaliere agli arresti domiciliari, a Roma davanti al Csm vanno in scena i veleni che spaccano ormai in profondità la Procura che fu di Mani Pulite. Per la prima volta nella sua storia, la Procura milanese lava i suoi panni in pubblico. Alfredo Robledo, procuratore aggiunto, viene convocato dal Consiglio superiore, e non solo ribadisce le accuse lanciate contro il capo dell'ufficio, Edmondo Bruti Liberati, ma rincara la dose: e aggiunge altri casi in cui, a suo dire, il procuratore avrebbe violato le regole di funzionamento della Procura, assegnando i fascicoli di inchiesta ai pubblici ministeri di sua fiducia.
Che lo scontro con Bruti sia ormai arrivato al punto di non ritorno, e che uno dei due magistrati sia destinato a uscire sconfitto da questa vicenda, ormai era chiaro da giorni. Ieri, se ce ne fosse bisogno, arriva la conferma. Robledo spiega ai consiglieri del Csm che nei casi delle indagini su Ruby, sul San Raffaele e sulla Sea le regole che dovevano portare il fascicolo sul suo tavolo, in quanto capo del pool che si occupa di pubblica amministrazione, sono state violate senza spiegazioni. Aggiunge altri casi. E, a riprova di una gestione assolutistica dell'ufficio, cita il caso di Alessandro Sallusti, avocato da Bruti per evitare l'arresto del giornalista.
Poi tocca a Bruti Liberati, che viene anche lui interrogato a lungo. Tre ore. Il procuratore porta con sé un'ampia documentazione, che dimostra come sia le indagini sul San Raffaele che su Ruby siano nate con ipotesi di reato di competenza di altri dipartimenti, e che solo strada facendo siano spuntate accuse che avrebbero dovuto chiamare in causa la squadra di Robledo. Ma Bruti sa che il vero scoglio per lui, il punto su cui si gioca anche la sua riconferma nella carica di procuratore il prossimo luglio, è la vicenda Sea: l'unica inchiesta su una operazione finanziaria della giunta di sinistra che governa Milano, rimasta per mesi nella cassaforte del procuratore capo e riemersa quando ormai l'appalto per la cessione delle quote era stato assegnato. «Una semplice dimenticanza», ha spiegato Bruti, ribadendo per il resto di avere sempre «rispettato le regole». E rilanciando su Robledo l'accusa di avergli tenuto nascosti elementi delle sue indagini e di avere un rapporto anomalo con lui: «Con gli altri procuratori aggiunti comunico verbalmente, Robledo pretende che io metta tutto per iscritto», ha detto Bruti.
Difficoltà caratteriali, certo: come ha spiegato ieri il procuratore generale Manlio Minale, interrogato a sua volta dal Csm. Ma lo stesso Minale, pur ricordando che le inchieste della Procura milanese hanno avuto successo, ha confermato in parte le accuse di Robledo: nei casi Sea e Ruby «non risulta attivata l'opportuna interlocuzione» da parte di Bruti con il suo «aggiunto». Dietro la cautela lessicale, sono parole pesanti.
Adesso la palla passa al Csm. Intanto la sezione disciplinare del Csm ha assolto Francesca Vitale, presidente di Corte d'appello che prosciolse nel 2012 l'ex premier per prescrizione nel caso Mills, criticando il pm Fabio de Pasquale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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