Cinque anni fa il rischio di disgregazione dell’euro non era nemmeno preso in considerazione da analisti ed economisti. Due anni fa, con lo scoppio della crisi della Grecia, l’ipotesi ha cominciato a prendere forma, mentre l’estate scorsa, con l’esplosione del debito sovrano dell’intera zona euro, è diventata molto più concreta. Oggi, dopo le elezioni francesi che hanno consacrato François Hollande all’Eliseo e, soprattutto, alla luce della situazione caotica in Grecia, le probabilità di una fuoriuscita di Atene dall’euro, e i relativi impatti sulla stabilità della moneta unica, sono aumentate al punto di diventare oggetto di serio approfondimento da parte di alcune banche centrali. L’investitore che vuole affrontare in tempo le possibili implicazioni di uno scenario di questo genere deve prendere decisioni importanti a cominciare dalla prima mossa: evitare che il proprio portafoglio finanziario sia composto da soli titoli denominati in euro.
La diversificazione in altre divise è infatti determinante per evitare o, almeno, limitare le possibili turbolenze sulla moneta unica europea, ma deve essere affiancata da altri elementi: il proprio profilo di rischio e l’entità del patrimonio. Distinguiamo quindi due casi. Il primo è quello di un risparmiatore con un capitale entro i 50mila euro tutto investito in Bot e Btp, che non sia abituato a correre rischi eccessivi e che non intenda investire in Borsa. Il suggerimento che gli si può fornire è di ridurre al 30% il peso dei Titoli di Stato italiani, mantenendo i buoni del Tesoro con scadenza massima 2015. Un altro 30% dovrebbe essere destinato a titoli in valute forti, quali dollaro Usa, franco svizzero, corone norvegesi, corone svedesi e renminbi cinesi: per investire nella valuta cinese sono ora disponibili diversi fondi anche in Italia. Il giardinetto potrebbe, poi, essere assortito con un 10% in dollari canadesi e dollari australiani, cioè due divise che tendono ad apprezzarsi nel medio termine, in virtù del fatto che appartengono a Paesi grandi produttori di materie prime. Il restante 30%, che dovrebbe rappresentare il motore del rendimento a lungo termine, dovrebbe comprendere fondi obbligazionari specializzati sui Paesi emergenti, fondi obbligazionari corporate bond e fondi obbligazionari ad alto rendimento (i cosiddetti «high yield»). Il secondo caso, invece, è quello di una famiglia con un patrimonio da 300mila euro già in parte (20%) diversificato in titoli esteri con una propensione al rischio medio alta: è cioè in grado di tollerare perdite anche del 10-15% nei prossimi 18-24 mesi, ma con l’obiettivo di realizzare rendimenti del 10% annui a 48-60 mesi. Il portafoglio più indicato, in questo frangente, vede la parte in titoli di Stato italiani ridotta al 15% e concentrata su Btp con scadenza tra il 2016 e il 2022, un 20% in titoli in valute forti, e il 15% in fondi obbligazionari Paesi emergenti. L’altra parte del portafoglio, invece, dovrebbe essere impiegata al 15% in fondi ed Etf azionari americani e al 15% in fondi ed Etf azionari Paesi emergenti. Gli Etf sono i fondi passivi che replicano l’indice cui sono agganciati.
Il restante 20%, dovrebbe essere impiegato in un conto online ad alto rendimento (attualmente remunera tra il 2% e il 3% netto) dal quale ogni mese prelevare 2.500 euro da investire in un piano di accumulo (Pac) in un Etf o fondo azionario Paesi emergenti: il travaso dal conto online al Pac proseguirebbe, quindi, per 24 mesi in modo da azzerare i 60mila euro del conto e porterebbe l’esposizione totale del portafoglio al 35% sulle Borse emergenti, le più dinamiche del mondo.
Tale strategia, da un lato dovrebbe consentire di ridurre i rischi a breve e medio termine, grazie alla formula del Pac e, dall’altro, di posizionarsi sulle Borse con le migliori potenzialità di crescita al fine di riuscire a ottenere, tra il 2016 e il 2017, un rendimento a due cifre.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.