Siamo probabilmente all'ultimo atto del movimento 5stelle. Con la Costituente dopo questo week end politico ciò che è stato non sarà più. Era nelle cose. Gianroberto Casaleggio nella sua lungimiranza aveva predetto che il movimento finita la sua funzione sarebbe scomparso. L'altro fondatore, Beppe Grillo, neanche dieci giorni fa ha rivendicato il diritto di estinguerlo. Ed è quello che avverrà perché Giuseppe Conte, l'avvocato d'affari diventato leader per caso, ne ha cambiato i cromosomi. Collocandolo nei fatti stabilmente nel campo progressista lo ha privato del carattere peculiare dei 5stelle: la «trasversalità». Stretto tra il partito della Schlein e la sinistra radicale come dicono a mezza bocca nel Pd: «si è consegnato». Certo ci saranno scossoni, strappi, ma la strada è segnata e probabilmente irreversibile. Ma Conte avrebbe potuto fare altrimenti che consegnarsi alla Schelin? Francamente no. Per sopravvivere e giocare tra i due poli i 5stelle avrebbero bisogno di percentuali elettorali che non hanno più. L'«urlo», il «vaffa» che ha dato vita al movimento si è esaurito da tempo. Non c'è più neppure l'ultimo eco. Del resto come potrebbe un movimento che la scorsa legislatura l'ha trascorsa per 4 quinti al governo, che è guidato da un due volte premier rappresentare quell'urlo, intestarsi rivolte anti-palazzo. C'è stato uno svuotamento semantico dell'urlo perché dopo due esperienze di governo è fatale che, al di là dei nominalismi, un movimento si trasformi in un partito istituzionalizzato. Del passato resta soprattutto una nomenklatura che come avviene in tutte le organizzazioni politiche segue la logica del «primus vivere». E per assicurarsi un domani i grillini sono costretti a fare un bagno di realtà, debbono abbandonare i sogni di gloria dei due governi Conte, dimenticare il sogno del 30% e acquietarsi all'ombra del Pd. È la dura legge della politica: o ti adegui, o come dice appunto Grillo ti estingui.
Il problema è vedere se il movimento-partito sarà capace di vivere questa nuova condizione. Al di là delle kermesse, delle costituenti dal basso, di tutto l'armamentario «assemblarista» che appartiene più al folklore, del culto di una diversità che ormai a parte i riti in buona parte hanno perso, i 5stelle hanno bisogno di una nuova identità che non riguardi solo il nome, ma il metodo, le logiche, la capacità di giocare all'interno di uno schieramento più largo. Non possono immaginare di darsi una nuova immagine, dicendo Fratoianni sì e Renzi no. Perchè oltre ad essere un approccio masochistico, rischiano di non andare da nessuna parte. Semmai dovrebbero ritagliarsi una funzione nel «campo largo», consapevoli del fatto che la matematica ormai assegna un ruolo egemonico al Pd, ma che contemporaneamente loro rappresentano pezzi di società, populismi irrequieti, che possono mettere in relazione con lo schieramento di cui fanno parte. Fuori dall'accordo con il Pd, invece, al di là delle fumisterie del direttore del Fatto o dell'Appendino c'è il nulla, dentro qualche carta possono ancora giocarla. In fondo in quello schieramento Conte è l'unico che può relazionarsi con la nuova amministrazione americana. Non è poco. Può dialogare - cosa che sta facendo - con la sinistra più radicale per riequilibrare il rapporto con il pd, anche se il posizionamento sul versante più estremo non gli permette di giocare anche con le altre anime della coalizione. Per cui venuto meno il trasversalismo tra i due poli, rischia di perdere anche un ruolo trasversale nel campo largo.
Ma qui stiamo più alla politica, quello che conta per la nomenklatura grillina oggi è assicurarsi un domani. E poi c'è sempre la speranza - l'ultima a morire - che alle prossime elezioni il campo largo si imponga. In quel caso Conte non potrà aspirare a Palazzo Chigi, ma alla Farnesina, sulle orme di Di Maio, sì.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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