La recente comunicazione della chiusura delle indagini da parte della procura di Milano sul presunto traffico di influenze illecite di cui è accusato Beppe Grillo è l'ennesima dimostrazione di come la legge del contrappasso abbia colpito un'altra volta il Movimento 5 Stelle e, in questa particolare circostanza, la figura del fondatore. Come se già non bastasse la fedina penale del comico genovese, ora un'altra grana giudiziaria (e non da poco) si aggiunge alla lista del garante dei grillini. Nelle ultime ore nessuno tra i pentastellati ha voluto commentare l'inchiesta penale: sintomo di un imbarazzo più che palbabile che emerge tra i militanti e palesa nuovamente tutte le contraddizioni e le incoerenze che il Movimento ha dovuto affrontare.
Giustizialismo a targhe alterne
Anche lo stesso Grillo dovrà cucirsi la bocca per non commettere ulteriori gaffe sulla sua presunta "mediazione illecita" che sarebbe stata finalizzata a orientare l'azione pubblica di parlamentari "in senso favorevole agli interessi del gruppo Moby" del patron Vincenzo Onorato. Cosa che non fece assolutamente un paio di anni fa, quando delirò in favore di telecamera pur di difendere il figlio imputato per violenza sessuale. Il doppiopesismo dei 5 Stelle sulla dicotomia giustizialismo (per gli avversari) e garantismo (nei confronti degli amici) è l'emblema di una metamorfosi definitiva che ebbe la propria origine ai tempi di Virginia Raggi. Per tutti gli amministratori di centrodestra e centrosinistra che venivano anche solamente sfiorati da un'indagine si chiedeva le dimissioni immediate; l'allora sindaca di Roma, invece, poté restare tranquillamente al proprio posto anche se imputata.
"Uno vale uno", ma alla fine conta solo Grillo
Ma ci sono almeno altri nove temi sui quali il Movimento 5 Stelle ha spesso compiuto delle retromarce clamorose. Lo slogan "uno vale uno", per esempio, ha sempre dimostrato tutte le sue pecche fin da subito. Nato come elemento che avrebbe dovuto caratterizzare la presunta democrazia interna del partito, 14 anni dopo la nascita del Movimento si è ormai capito come abbia sempre comandato una persona sola: Beppe Grillo. Conte ha cercato (e sta cercando ancora adesso) di soffiargli effettivamente il posto, ma il maxi-contratto da oltre 300mila euro stipulato da Grillo e il Movimento 5 Stelle per supportarne la comunicazione e le campagne elettorali è parecchio eloquente da questo punto di vista.
Da "non più di due mandati" a "mandato zero"
Fu proprio il comico genovese a imporre a Giuseppi nell'estate scorsa di non concedere alcuna proroga a tutti quei parlamentari italiani a 5 Stelle che avevano già collezionato due mandati. In effetti così fu: niente più seggio, dunque, ai vari Fico, Toninello, Bonafede, Taverna, Fraccaro, Crimi. Peccato che, originariamente, il divieto di accumulare più di due legislature doveva riguardare qualsiasi tipo di incarico politico elettivo e non solo i deputati e i senatori. Questi ultimi due, invece, sono rimasti alla fine gli unici due ruoli a non potere usufruire del fantomatico "mandato zero": una regola ideata da Luigi Di Maio che consentì, per esempio, a Virginia Raggi di ricandidarsi a sindaco nonostante avesse già svolto un mandato da consigliera comunale e uno da prima cittadina di Roma.
Alleanze con nessuno e poi con tutti
Che dire, poi, delle alleanze politiche? Per anni il Movimento 5 Stelle si è sempre orgogliosamente posto come l'unico che non avrebbe mai stretto accordi né entrato in coalizione con nessun altro partito. Ma, dalla primavera del 2018, la svolta (e la giravolta continua) ha portato i pentastellati ad allearsi prima con la Lega, per dare vita al governo Conte 1, e un anno dopo con il Partito Democratico per il Conte 2. Non contento, Grillo impose nell'inverno 2021 di appoggiare l’esecutivo guidato da Mario Draghi al cui interno era presente anche Forza Italia dell’odiatissimo Silvio Berlusconi. A livello amministrativo, inoltre, la coalizione a macchia di leopardo con il Pd si è sempre ripetutamente rivelata fallimentare.
"Mattarella via dal Quirinale", ma rivotato al Colle dal M5s
Uno dei tanti protagonisti della politica italiana a essere stato, a un certo punto, bersaglio diretto dei 5 Stelle è stato addirittura Sergio Mattarella. Nel maggio 2018 il Presidente della Repubblica decise di non controfirmare il decreto di nomina di Paolo Savona come ministro dell'Economia: Di Maio andò su tutte le furie e chiese la messa in stato di accusa del capo dello Stato. La mossa politica durò appena due giorni scarsi, prima che Giggino accettasse lo spostamento di Savona agli Affari Europei e fece immediato dietrofront sulla richiesta di impeachment. Il destino volle che, meno di quattro anni più tardi, il Movimento 5 Stelle votasse per il bis di Mattarella al Quirinale.
Il pasticcio del condono a Ischia
I pentastellati si sono sempre ripetutamente schierati in maniera fermamente contraria a qualsiasi tipo di condono. Succede però che, non appena salgano al governo, i 5 Stelle abbiano dato il via a un processo di condono edilizio con il dl Genova. Nel decreto, infatti, le pratiche di sanatoria inevase su Ischia vennero giudicate con i criteri più permissivi del condono Craxi del 1985, permettendo con i soldi pubblici la ricostruzione di edifici in aree a rischio sismico e idrogeologico. Il primo comma dell’articolo 25 del decreto Genova (intitolato "Definizione delle procedure di condono"). L'alluvione che provocò 12 vittime a Ischia lo scorso novembre fece tornare in auge questo tema e le polemiche relativa a quella scelta di cinque anni fa.
Le grandi opere fortemente (non) volute
Una delle più grandi giravolte grilline riguarda l'approccio ideologico sulle grandi opere. Considerate da sempre il "male assoluto", il Movimento 5 Stelle ha poi dovuto rivedere le proprie posizioni perché non c'erano soluzioni alternative rispetto ai progetti originari. Il Tav era "un'opera inutile che non si completerà mai, perché era uno spreco di soldi e porta solo inquinamento ambientale"? Ebbene, non più. Nel luglio 2019 Conte darà infatti il via libera all'infrastruttura. Con i 5 Stelle al governo il Tap "verrà bloccato in due settimane", come sosteneva Di Battista? No, venne immediata confermata dal Conte 1. Le Olimpiadi, che non si potevano svolgere a Roma nel 2024, si sono potute però organizzare a Milano e Cortina nel 2026, avvallate dal medesimo esecutivo.
Ilva: da "chiusa subito" a "caso risolto"
Sempre in nome della crescita e del pragmatismo, anche sull’ex Ilva il Movimento 5 Stelle ha dovuto cambiare idea. Luigi Di Maio era sempre fermo e deciso sull'argomento. "Il Movimento 5 Stelle è e sarà sempre per la chiusura dell'Ilva" (22 luglio 2015). "Lo diciamo chiaramente, chiuderemo l'Ilva. Il denaro pubblico va investito sulle vere priorità del Paese. Non sulle opere inutili e dannose. È stata sempre dritta la barra del Movimento 5 Stelle e continua ad esserlo. E chi vuole leggere altro nel contratto sbaglia" (19 maggio 2018). "Chiuderemo l'Ilva nel giro di qualche anno" (22 maggio 2018). Nel settembre 2018 il ministro Di Maio annunciò trionfante la (presunta) risoluzione del problema, tenendo aperta la fabbrica: “Il contratto con ArcelorMittal non si poteva rescindere”.
Non sempre a favore dei diritti civili
Uscendo dai temi economici, si rivela curioso anche il modo in cui CamaleConte abbia affrontato il tema dei diritti civili. Nel programma elettorale con cui si è presentato alle elezioni nel 2022 si parla di "possibilità di adozione estesa anche alle persone single e alle coppie dello stesso sesso, per le quali deve essere aperto l'accesso all'istituto del matrimonio laico e civile (matrimonio egualitario)". Eppure, solo un anno prima, Giuseppi era parecchio reticente sul ddl Zan e, nel 2016, il Movimento 5 Stelle si era astenuto quando il Parlamento votò per il provvedimento, nota come legge Cirinnà, sull'istituzione anche Italia delle unioni civili tra persone dello stesso sesso.
L'invio a intermittenza delle armi in Ucraina
Infine, il tema internazionale che sta tenendo testa in tutto il mondo negli ultimi 13 mesi: la guerra in Ucraina. Nel giro di pochissime settimane il gruppo parlamentare pentastellato cambia idea almeno quattro volte: prima votò a favore dell'invio delle armi compattamente con la maggioranza, poi cominciò a porre dei paletti che si trasformarono immediatamente in un no secco in prossimità con la caduta del governo Draghi.
In campagna elettorale Conte tentò l'azzardo del dietrofront dicendosi "orgoglioso" di quell'invio ("eravamo consapevoli che non ci si può difendere con le mani nude da una tale aggressione"), ma visto che i sondaggi non lo premiarono, si riposizionò due giorni dopo sul versante "pacifista". La curiosità che resta ancora inevasa sull'argomento è: qual è l'alternativa per difendere la popolazione ucraina dalla Russia?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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