Diffamazione, il Senato non sa decidere

Palazzo Madama "salva" il testo dal ritorno in commissione (e dall'affossamento) ma rinvia il tutto a oggi

Diffamazione, il Senato non sa decidere

RomaUn pareggio impedisce in Senato che il ddl sulla diffamazione torni in commissione e rischi di cadere nel dimenticatoio. Ma il voto procede molto a rilento e il testo che doveva essere approvato ieri definitivamente sembra una tela di Penelope, che si tesse il giorno e si disfa la notte. Alla fine, tutto rinviato ad oggi senza il sì neppure al primo articolo.

L'aula si spacca quasi a metà sulla richiesta del Pd di approfondire ancora in commissione il testo pericolosamente modificato la scorsa settimana: 150 sì, 145 no e 5 astenuti (che valgono voto contrario). In caso di parità, secondo il regolamento, risulta respinta la proposta fatta dalla capogruppo democratica, Anna Finocchiaro e osteggiata dal presidente dei senatori Pdl, Maurizio Gasparri. Per l'occasione, resuscita la vecchia maggioranza berlusconiana, con pidiellini, leghisti ed ex finiani di Coesione nazionale, contro la linea Pd appoggiata da Idv, Udc e Api.

È un voto raro, se non unico, a Palazzo Madama. E dà il senso di quanto sia controversa questa legge, nata sull'urgenza del caso Sallusti ma trasformatasi in una riforma più temuta dai giornalisti dello stesso carcere cui è stato condannato (14 mesi) il direttore de Il Giornale. Infatti, a pochi metri da Palazzo Madama la Federazione della stampa manifesta in piazza del Pantheon contro quella che definisce una «legge-bavaglio».

Di fronte alla concreta possibilità che, a questi ritmi, il parlamento non riesca a varare la riforma prima che, tra poche settimane, Alessandro Sallusti entri in carcere, si fa avanti l'idea di riserva di approvare alla Camera una norma ad hoc. L'ipotesi, emersa nella conferenza dei capigruppo, è quella di un emendamento per evitare il carcere ai giornalisti da inserire nel ddl sulla «messa alla prova» dei detenuti, in calendario alla Camera nella settimana dal 5 novembre. Il Pdl l'appoggerebbe e sembra favorevole anche il presidente dei deputati democratici, Dario Franceschini. Ma se i contrari al momento rimangono silenziosi, non vuol dire che manchino. Pronti magari ad agitare la bandiera della grazia. «Nel nostro ordinamento - dice Francesco Rutelli- un provvedimento ad personam si può fare, quello di clemenza stabilito dalla Costituzione».

Il ddl sulla diffamazione rimane calendarizzato a Montecitorio per la prossima settimana, se e quando arriverà dal Senato. Il provvedimento continua a cambiare faccia, a Palazzo Madama. Si vota su uno dei punti cruciali, l'emendamento sul quale la settimana scorsa si era arenato l'esame dell'aula: con 177 voti a favore, 46 contrari e 7 astenuti si dimezza il tetto massimo delle multe che sostituiranno il carcere, da 100 a 50 mila euro. Poi procede la demolizione del testo approvato fin qui: eliminati il raddoppio della pena per il recidivo nei precedenti 2 anni e l'aumento «fino alla metà» in caso di «diffamazione organizzata» (in concorso da almeno tre tra autore, direttore responsabile o vice, editore e proprietario della testata). Sì, invece, all'obbligo di rettifica anche alle testate telematiche entro 4 giorni dalla richiesta, con un link sull'articolo diffamante. Pubblicata la smentita diminuirà «fino a due terzi» la pena.
Dopo circa 3 ore di discussione sui soli emendamenti il vicepresidente del Senato, il Pd Vannino Chiti (firmatario con Gasparri del testo-base), perde la pazienza. Rinvia ad oggi, ma invita tutti a riflettere sull'andamento dei lavori. «Si sta procedendo - dice - come se si fosse in commissione, anziché in aula».

Infatti, non si è neppure arrivati al voto sul fondamentale articolo 1. Rutelli che l'ha chiesto segreto ora lo vuole palese, Giovanni Legnini (Pd) vorrebbe riportarlo in commissione. «Si profila un guazzabuglio normativo», proclama Raffaele Lauro ( Pdl).

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