Il giorno dopo la storica vittoria di Angela Merkel nelle elezioni più scontate che la storia ricordi, Berlino incarna già l'operosità teutonica: dichiarazioni con poco brio, bollicine archiviate e tanta voglia di ragionare su come procedere. Perché il partito della Cancelliera uscente, quella Cdu capace di imporsi sulla scena politica mondiale come nessun altro, freme per tessere la tela delle alleanze e andare al più presto al governo. Indiziato numero uno per un bis delle larghe intese in stile 2005 è la Spd del socialdemocratico Peer Stenbrueck, con il punto interrogativo rappresentato dalle scelte economiche sull'Europa.
Lo sfidante di frau Angela, incapace durante il confronto televisivo di rivolgere una critica una alla donna più influente del globo, nonostante da sempre si sia professato favorevole al mantenimento delle misure di risanamento di bilancio in Grecia, è un convinto sostenitore di un nuovo «Piano Marshall» di aiuti allo sviluppo. Come dire che la patata bollente rappresentata da un Paese già fallito da tempo ma che in primis la Cancelliera ha inteso salvare, potrebbe essere un ostacolo alla nuova ma vecchia coalizione tra conservatori e socialisti. La Grecia, titolano molti quotidiani tedeschi, sarà il fulcro delle trattative per formare una coalizione di governo a Berlino, passaggio che lo stesso Steinbrueck ha fatto suo con insistenza, come per tracciare una linea Maginot per future alleanze. Merkel si è affrettata a chiarire che continuerà a spingere la Grecia sul terreno delle riforme, ma l'impressione è che difficilmente la Spd potrà avere la forza di impuntarsi.
«Noi come conservatori - ha precisato la donna capace di fare meglio di Adenaued e Kohl - abbiamo un chiaro mandato per formare un governo e la Germania ne ha bisogno». Un primo contatto tra Cdu e Spd c'è già stato ieri con una telefonata della Merkel al presidente del partito Zigkmar Gabriel partita di buon mattino, un altro (più significativo) è in programma per il prossimo venerdì. La vulgata nel quartier generale di frau Angela è che le elezioni siano state un forte messaggio di unità per l'Unione europea, «che deve persistere nel processo di riforme per rafforzare la propria competitività». Il punto di vista dei socialdemocratici si ritrova nelle parole del presidente Gabriel che frena gli entusiasmi: «Non vi è alcun meccanismo automatico per una grande coalizione e nulla è stato deciso. Ci sarà un dibattito aperto». Sulla stessa linea Steinbrueck secondo cui «non entreremo nell'imbuto dall'altra estremità». Aria di redde rationem tra i Verdi, i cui vertici al completo si sono dimessi: pagano lo scotto dell'8,4% contro il 10,7% di quattro anni fa. Identico stato d'animo tra i liberali, fuori dal Bundestag nonostante siano reduci da quattro anni al governo, mentre la delusione per gli anti euro di Alternativa per la Germania, per un soffio incapaci di guadagnare la soglia minima, è già voglia di rimboccarsi le maniche per le europee del prossimo anno.
Pollice alzato dall'Italia, con il Presidente Giorgio Napolitano che considera il risultato del voto tedesco un elemento che «rafforza decisamente la causa dell'Europa e della sua unità».
«Tifoso» della Grosse Koalition è il premier Enrico Letta che evidenzia il significato del voto da cui emerge «un modello di cooperazione simile al nostro, forse in Italia si capirà che quando i nostri elettori ci obbligano ad una grande coalizione bisogna farsene una ragione».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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